11 GENNAIO 1693. Morte e resurrezione di una città

Il terremoto dell’11 gennaio del 1693 rase al suolo 57 paesi del Val di Noto e provoco’ circa 60 000 vittime , di cui  15 000  nei comuni dell’odierna Provincia di Ragusa.  Se Catania perse 6 000 dei suoi 18 000 abitanti , Siracusa 4 0000 su 12 000 e Noto 3 000 su 9 0000, non meno impressionante fu il numero dei morti nella Contea di Modica: Ragusa  registro la perdita di metà della popolazione ( 5 000 su 10 0000 abitanti ) , Scicli 2 000 su 9 000  e il capoluogo Modica quasi 4 000 su 18 000 . Un autentico salasso demografico che avrebbe richiesto  un secolo per ripristinare l’equilibrio precedente. Lo stesso tempo, un secolo almeno , sarebbe stato necessario per la ricostruzione del tessuto urbanistico tardo barocco delle città iblee. Il marchio Unesco, la luminosa bellezza dei nostri centri storici ci hanno fatto dimenticare quanto dolore,sacrificio,morte e violenza ci sia dietro la cortna edilizia delle nostre chiese e dei nostri palazzi.Una tragedia da non dimenticare.

A Modica come altrove si muore sotto le rovine delle fabbriche, ma anche per fame , per sete e per freddo. Il Protomedico della Contea, Diego Matarazzo, nelle sue relazioni al Viceré descrive una città piena di gente seminuda e coperta di stracci che vaga in preda al panico collettivo lungo vicoli e case “dissolate”, tra detriti e cadaveri insepolti. Manca l’acqua, i pozzi si sono disseccati, l’unica sorgente di S.Pancrazio si era ridotta a un rivolo, e sporcizia e disidratazione diffondono “febbri maligne” ed epidemie infettive. Manca anche il pane, perché l’assalto della folla aveva svuotato il grano conservato nei magazzini del Conte allo “stretto” , ne’ soccorsi alimentari possono giungere dalle città vicine,anch’esse  distrutte e affamate. Neppure dal mare può arrivare aiuto di sorta: a Pozzallo veleggiano sotto costa i vascelli dei pirati barbareschi pronti al saccheggio del caricatoio. Mancano unguenti e pomate per lenire ferite e fratture da traumi, le “aromaterie” della città sono andate tutte distrutte, tranne quella “cum tabulis constructa” di don Michele Agosta che nella piazza principale dispensa pochi e tradizionali rimedi disponibili, prodotti “placebo” più che veri farmaci.

Ma il sisma e’ anche “rivoluzione”, perché capovolge le gerarchie sociali della ricchezza e del potere. Improvvisamente i nobili possono ritrovarsi poveri, avendo perduto case, beni patrimoniali, denaro, mentre i poveri possono diventare ricchi se con furti e violenze riescono ad impadronirsi della “roba” altrui. I Registri criminali della Contea raccontano storie curiose e raccapriccianti : ladri di passo, mozzatori di età e orecchie ( per derubare i cadaveri di anelli e orecchini ) , vagabondi che scavano tra le macerie a caccia di “truvatura”. Nessuno e’ in grado di assicurare  la sicurezza pubblica, disordine e anarchia sociale la fanno da padroni, talvolta compare la forca per castigare qualche malcapitato delinquente e farne tragico “exemplum” per raffrenare le spinte eversive del popolo minuto, che spinto da bisogni elementari non esita a “discassare” conventi, chiese e palazzi .

Ricostruire nello stesso sito o rifondare le città distrutte in luoghi più sicuri e “commodi”? Le risposte a questo interrogativo saranno multiple, dopo conflitti laceranti che spaccano le comunità locali. Catania e Siracusa decidono di ricostruirsi “in situ”: la prima non può privarsi della sua “piana” fertile e del  porto naturale, la seconda è vincolata dall’essere una fortezza militare cruciale nel sistema difensivo spagnolo. Noto però ha il coraggio di cambiare sito, di lasciare l’originario luogo alpestre ed avvicinarsi al mare, come accade per Avola. Nella nostra attuale provincia succede di tutto. Giarratana e Monterosso cambiano sito , Chiaramonte resiste nel vecchio insediamento, Spaccaforno/Ispica dal basso risale verso l’alto, Scicli continua a scivolare dal colle di S.Matteo verso il fondovalle, Ragusa addirittura si sdoppia tra Ibla e la collina del Patro dando vita a  due comunità divise da lotte religiose e politiche fino al 1927 (quando si riunificano).

A Modica si confrontano per un decennio due differenti soluzion urbanistiche. La prima intende trasferire la città nuova sull’ altopiano della Michelica. con piazze larghe e strade diritte, più vicina alla costa : se ne fanno paladini i canonici di S.Pietro e le famiglie aristocratiche  Ascenzo, Polara. Ruffino, Arezzo, De Leva, Rizzone, che sollecitano a Palermo il Vicere ad autorizzare il cambiamento di sito : ” il non mutar sito e il fabricar Modica in Modica – scrivono – sarebbe un castigo di Dio e un vivere tra dupplicati disagi, tra horride spelonche buone solo a ricovero di fiere e non di huomini”. Da Madrid il Re Carlo II invia il suo consenso , purchè le due parrocchie  rivali di S. Giorgio e di S.Pietro si riunifichino in un’unica nuova Chiesa madre, ma il capitolo di S.Giorgio fa quadrato ed oppone una resistenza durissima . La vecchia Matrice alla fine la spunta , col sostegno politico dei Grimaldi , Lorefice e Tommasi Rosso. Modica risorgerà sull’ identico luogo, con i suoi vicoli medievali su cui si innalzeranno superbe le “maramme” settecentesche ecclesiastiche e civili. Una “terza” Modica nascerà in modo spontaneo e disordinato nell’ultimo trentennio sull’altopiano , Modica bassa e Modica alta “optime hic manebunt”. Con gli attuali disagi di traffico , ma con il fascino dell’antica bellezza.

P.S. I molteplici impegni di lavoro e la Direzione del  Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali  mi  costringono a sospendere questo appuntamento settimanale a me così caro. Ringrazio Paolo Borrometi per la sua gentile ospitalità e tutti gli amici lettori de “La Spia” per la loro paziente attenzione.

1 commento

  1. Ringrazio immensamente il Prof. Uccio Barone per averci accompagnato, in tutti questi mesi, a “braccetto con pagine di autentica cultura”. Certamente, dopo aver avuto il privilegio e l’onore di leggerne in anteprima le preziose parole, sono più ricco di sapere…
    Lo stesso sapere che, mi e ci auguriamo, possa continuarci a regalare in qualsiasi momento ne abbia voglia.
    Grazie Prof!
    Con stima,
    Paolo

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