157 anni, 9 mesi e 20 giorni di carcere. E’ questa la storica sentenza della Corte d’Appello di Catania sulle persone coinvolte nell’operazione della Polizia di Ragusa dell’aprile del 2014, coordinata dalla dottoressa Valentina Sincero della Procura Distrettuale Antimafia di Catania.
La sentenza della Corte d’Appello riforma quella di primo grado, accogliendo pressoché in toto le tesi accusatorie della Procura. In appello, la sentenza emessa dal Gup di Catania, Santino Mirabella, il 29 giugno dello scorso anno, aveva inflitto condanne per 96 anni e 4 mesi.
L’operazione antidroga prese il nome di “Agnellino” dal momento che con questo termine alcuni degli imputati, che svolgevano attività di pastorizia, indicavano un chilo di droga con il linguaggio in codice tra loro.
I condannati sono:
Firrisi Emanuele, anni 22 e mesi 6
Bellassai Corrado, anni 11 e mesi otto
Boschi Pieruccio, anni 14 e mesi 4
Cangialosi Rita, anni quattordici, mesi 6 e giorni 20
Errigo Giovanni, anni 14, mesi 6 e giorni 20
Ferrante Antonino, anni venti
Firrisi Michele, anni dieci e mesi quattro
Incremona Salvatore, anni dieci e mesi quattro
Lauretta Giuseppe anni nove
Occhipinti Sebastiano, anni otto
Saccone Giuseppe, anni otto
XeKa Sheptim, anni otto, mesi dieci e giorni venti
Xeka Yber, anni tre, mesi dieci e giorni venti
I poliziotti della Squadra Mobile di Ragusa insieme con quelli del Commissariato di Comiso, durante le investigazioni, avevano delineato anche il modus operandi del gruppo. Nello specifico l’organizzazione si riforniva di droga in Albania e poi, disponendo di una vasta rete di rivenditori al dettaglio, la immetteva sul mercato della provincia iblea in piccole dosi.
La droga veniva consegna ai “clienti” direttamente presso le loro abitazioni o ritirata a casa di alcuni degli arrestati.
Addette alla consegna erano le due donne che con la scusa di consegnare ai clienti la busta della spesa gli portavano la marijuana.
Inoltre, alcuni membri dell’organizzazione svolgevano l’attività di pastorizia e, per parlare anche con gli altri componenti della banda, utilizzavano espressioni in codice tra cui la parola “agnello” corrispondente ad un chilo di sostanza stupefacente.
Le indagini avevano anche fatto emergere singolari espedienti per superare i controlli della Polizia durante l’importazione di stupefacente: in alcuni casi, le partite di droga venivano nascoste all’interno di auto appositamente danneggiate per trasportarle con carri attrezzi.