E’ evidente che nella lotta alle mafie e al crimine organizzato siano emerse non solo inevitabili debolezze ed errori, ma anche devianze e complicità finalizzate a vanificare ogni azione di contrasto. Non intendo in questa sede riprendere gli argomenti che hanno caratterizzato le cronache degli ultimi tempi (caso Saguto, trattative Stato-mafia, ecc.) ma esternare alcune schematiche considerazioni.
In questi anni le mafie hanno interpretato tutti i ruoli di una tragica commedia. Con una mano hanno tolto. Rapinando le poche ricchezze delle economie più fragili, saccheggiando la natura e i beni culturali, organizzando il traffico degli esseri umani, terrorizzando cittadini e imprenditori. Con l’altra hanno dato. Garantendo un salario minimo ai giovani senza speranza delle periferie e dei centri storici degradati, assicurando ai negozianti la protezione dai loro stessi attentati e collaborando con la pubblica amministrazione nell’assistenza ai profughi. Inoltre gestiscono pezzi rilevanti del mercato del lavoro assicurando occupazione sottopagata, e senza alcuna garanzia, nei trasporti e nella logistica, nel lavoro in agricoltura, nel facchinaggio negli ortomercati e nel commercio ambulante. In questo contesto promuovono e gestiscono rapporti commerciali apparentemente neutri o vantaggiosi con imprese che operano nel sistema legale che colgono l’occasione per ampliare i propri affari.
Insomma nelle pieghe della globalizzazione hanno fagocitato pezzi rilevanti dell’economia e della finanza. Hanno sfruttato prima e più di altri le opportunità dell’assenza dei controlli in virtù della libera circolazione dei capitali in tutta Europa e della impenetrabilità dei paradisi fiscali garantiti dagli stati.
Con la depenalizzazione del falso in bilancio, con l’affermazione della teoria del “meno Stato e più Mercato”, del liberismo senza regole, della riduzione dei controlli di legalità e con l’orgia dei condoni si è spianata la strada a quei contenitori di sistemi criminali-finanziari capaci di orientare le scelte della politica.
La politica appunto. Quella politica subalterna alla deregolamentazione, e ai sacerdoti della globalizzazione liberista, ha colpevolmente rinunciato al proprio dovere di adeguare leggi e regolamenti ad una economia evoluta ( e maggiormente esposta alle infiltrazioni e al riciclaggio). Questi stessi soggetti politici, che hanno evitato le proprie responsabilità, sono i primi a spellarsi le mani per applaudire la tenacia degli apparati dello Stato e l’impegno volontaristico delle associazioni civiche , di categoria e dei giornalisti.
Ma l’esperienza degli ultimi anni insegna che non esiste una modalità unica e universale per combattere le mafie. C’è bisogno di innovare le analisi sui sistemi criminali integrati caratterizzati dall’intreccio tra le mafie, i circuiti economico-finanziari e i circuiti politico-amministrativi. C’è bisogno di investimenti nella formazione e nell’aggiornamento professionale negli apparati investigativi e giudicanti. C’è bisogno di una maggiore diffusione delle misure di prevenzione che possano colpire i patrimoni a seguito di approfondite analisi sulle dinamiche e le scelte gestionali che caratterizzano i sistemi economici integrati. C’è bisogno di misure più stringenti per le figure professionali (notai, commercialisti, ecc.) che svolgono funzioni di assistenza e consulenza nei sistemi integrati “borderline”.
E poi c’è da investire a monte: a partire dai libri di testo delle scuole che ignorano il tema delle mafie e rendono meno agevole la diffusione della consapevolezza tra i ragazzi. E a valle c’è bisogno di rifondare l’agenzia dei beni confiscati : oggi un buco nero nel sistema pubblico. Ventimila beni confiscati possono diventare formidabili esempi di riconversione produttiva e nuova occupazione. Terreni, immobili, aziende agricole, attività commerciali e industriali che possono rappresentare modelli di economia sana e reinserimento sociale e lavorativo per soggetti svantaggiati (compresi ex detenuti). Battere le mafie sul terreno della continuità produttiva, o della riconversione, dei beni confiscati oggi non è una priorità nella lotta al crimine.
Insomma nella lotta alle mafie i punti di vista da destra e da sinistra non coincidono.
Gianfranco Motta