Appunti di viaggio: Berlino

Sarà per i grattacieli in acciaio e vetro e per i cantieri tutt’intorno o per le facce sorridenti dei turisti in posa davanti ai colori sgargianti delle opere da strada, ma quando te lo ritrovi davanti non ti rendi subito conto che quello è il muro. Devi costeggiarlo per diverse centinaia di metri, fino a quando si apre una breccia, oltre la quale puoi finalmente vedere quello che c’era veramente dall’altra parte: grigio cemento e sassi e una striscia di suolo asciutta e senza padrone, luogo di nessuno e nello stesso  tempo off limits per tutti.

Ecco allora concretizzarsi il sapore della separazione, una separazione fisica, proprio lì, in un punto esatto dove due diversi ed opposti mondi reciprocamente finivano ed iniziavano, l’uno rispetto all’altro, travolgendo storie, amori, affetti, sogni, speranze, disperazione, disillusione di milioni di uomini e donne ai quali il destino ha dato il compito amaro di scrivere, sulla propria pelle, una delle pagine più brutte e assurde della storia dell’umanità.

Diciamoci la verità, il muro lo hai sempre dato per scontato, perché te lo hanno fatto studiare a scuola, come fatto storico astratto, come conseguenza quasi naturale della spartizione del mondo tra i vari vincitori della guerra, una spartizione fatta come in una partita a risiko, finita la quale i carri armati vengono riposti nella scatola e tutti amici come prima, Adesso ti rendi conto, invece, che quella non era una partita a risiko, non era un gioco ma vita reale, dalla quale in molti hanno cercato di fuggire, con i mezzi più svariati e, a volte, anche eccentrici. Al museo del muro vedi le valigie modificate, dentro cui ci si infilava, come in una nuova gestazione, per superare quel maledetto confine artificiale e folle e per passare da una parte all’altra. Un nuovo utero da abbandonare, ma questa volta doloroso e avaro, dal quale fuggire per tornare a sorridere. Vedi le automobili modificate, dietro i cui serbatoi si rannicchiavano le speranze di pazzi sognatori, disposti a mettere in discussione la loro stessa vita pur di non finire a viverla secondo le imposizioni di altri. E allora ti rendi conto! Ti immagini di vivere in quel momento e pensi di stare da una parte e dall’altra, accorgendoti che c’è un denominatore comune, sia ad est che ad ovest, e cioè la sensazione di vivere in un limbo, fisico e poi mentale, una grande attesa che tutto questo finirà, prima o poi, e ti accorgi che in quella condizione, solo mettendo in stand by ogni altro sentimento, si riesce a sopravvivere al doloroso ricordo di una mano negata, di un abbraccio impossibile, di un bacio trasformatosi in miraggio d’amore.

La sofferenza umana inizia a sgorgarti dagli occhi, perché non si può rimanere impassibili di fronte alla folle lucidità con la quale alcuni uomini hanno condizionato il destino di milioni di loro stessi simili, perché non si può rimanere indifferenti, perché quella non è stata solo una partita a risiko ma una cosa reale, stampata sul cuore e sulla carne di persone reali.

La sofferenza, all’ombra di quel muro, diventa Tempio. E pazienza se la città ne fa anche mercato, come a Gerusalemme, perché in fondo il riscatto, l’esorcismo di quanto è stato passa anche attraverso questa sorta di trasformazione delle cose: la memoria diventa testimonianza ma anche fondamento di ricostruzione.

Ce n’è per tutti i gusti: per chi vuole il suo pezzetto di muro, per chi ama la Trabant, per chi vuole una foto con il milite americano al Check Point Charlie, per chi vuole il magnete che raffigura il bacio tra Breznev e Honecker e chi, invece, si accontenta di un gadget  dell’Ampelmännchen.

Poco distante c’è un tizio russo che vende cimeli (o pseudo tali, in realtà brutte riproduzioni made in china) dell’Unione Sovietica. In fondo anche quel mondo esercita ancora, su molti, un fascino particolare ed irresistibile. Un uomo grasso, con maglietta e scarpe griffate, ha appena acquistato un cappello da ufficiale dell’Armata Rossa e, indossandolo, si fa scattare una foto, insieme alla moglie, che però guarda distrattamente da un’altra parte. Sullo sfondo lo Sprea sonnecchia accompagnando i battelli bianchi, pullulanti di turisti, con il movimento vellutato di chi ne ha viste troppe per agitarsi ancora.

Il gruppo si muove lentamente verso la porta di Brandeburgo ma qualcuno esclama: andiamo nel nuovo centro commerciale vicino Potsdamer Platz!

Si decide di andare a fare shopping mentre Berlino si inerpica nel futuro, veloce e rilassata, frenetica e ordinata, una colorata e aperta megalopoli che non nasconde le sue cicatrici, senza perdere, però, la sua nordica dignità…

 

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