Due lettere che campeggiano come un mantra per chi entra in quei locali, distrutti. Una casa sontuosa trasformata in un ammasso di macerie. Una villa lussuosissima, piena di stucchi e di marmi, sfregiata in tutto e per tutto. Un tesoro un tempo intatto, poi totalmente depredato.

Stiamo parlando dell’abitazione del boss Michele Crapula ad Avola.
L’abitazione venne prima sequestrata e, successivamente, confiscata. Questa poteva diventare un simbolo di lotta alla mafia ed il suo riutilizzo avrebbe potuto significare la voglia di riscatto di un’intera comunità, nei confronti del boss che per anni l’aveva oppressa.
Lì dove potrebbe sorgere una caserma o un commissariato, un asilo o la sede di un’associazione per disabili, c’è solo un silenzio che urla di rabbia.
L’ex abitazione del boss è diventata il segno chiaro dell’arroganza mafiosa. D’altronde spesso i beni dei boss sequestrati finiscono distrutti: “non la posso avere io? Non l’avrete neanche voi”. E così il via alla distruzione!
Lasciando solo e soltanto due lettere, due consonanti, in rosso e nero: “M C”. Michele Crapula, appunto.
Due lettere che sembrano essere da monito verso chi vorrà utilizzare la casa, classico dell’ideologia mafiosa e di quella forza di intimidazione che può arrivare anche da due semplici iniziali.
Parliamo, d’altronde, del boss con il “bastone” (chiamato anche, infatti, “stampella” dagli affiliati del sodalizio mafioso). Lui che del clan Trigila, per un importante pentito ne è “uno dei fondatori” e che, curava anche gli aspetti della cassa comune del Clan che doveva riconoscere uno stipendio a più cifre quando si trovava in galera (come oggi!).
“Si lamentava di Albergo – spiega un pentito, parlando di Crapula – che in quel periodo era libero ed aveva il ruolo di reggente” perché “in carcere non arrivavano abbastanza soldi”.
Quel Michele Crapula che, sempre per il pentito, “quando è in libertà assume le redini dell’intero clan Trigila in tutta la parte meridionale della provincia di Siracusa”.
Un boss spietato che (sempre parole del pentito) avrebbe organizzato un attentato ad un affiliato, Sebastiano Catania, reo di essersi “avvicinato ad Angelo Monaco (quindi allontanandosi da lui), e proprio questa, a mio avviso – chiarisce il pentito –, fu la ragione dell’attentato (OMISSIS mi ha detto che l’attentato fu ordinato da Crapula)”.
Un boss che risultava – udite, udite – nullatenente. Zero redditi dichiarati che fanno a pugni con ciò che vediamo. Ma che per la Dia e per la Dda di Catania aveva un tesoro frutto di illecite provenienze (in quanto erede di Aurelio Magro, suo suocero…).
Così vi vogliamo proporre le foto di come è oggi l’abitazione e di come era prima del sequestro e della confisca.
Come si potrà vedere chiaramente, persino i fili della corrente elettrica sono stati portati via. E qualora non bastasse, come nel caso del camino o della vasca da bagno (almeno 4 in tutta l’enorme abitazione), distrutti completamente. Asportate le ringhiere, distrutti i pavimenti, eliminati gli infissi, rotto lo “zoccolo” del pavimento, il costosissimo marmo di carrara dei bagni o le ceramiche fatte a mosaico.
Le uniche tracce “umane” sono reperibili in quella che era la stanza del figlio, rappresentate da qualche figurina e dal poster della Ferrari.
Non è finita qui, poiché davanti la casa vi erano le “scuderie” del boss: locali enormi adibiti al ricovero dei cavalli che, fortuna loro, godevano persino dell’aria condizionata per ogni box.
E per darvi un’idea compiuta di come fosse la casa prima del passaggio dell’orda barbarica, vi mostriamo alcune foto (reperite nel profilo facebook aperto della figlia, Desire).
Vogliamo ricordare che un bene confiscato ad un mafioso torna ad essere dello Stato, quindi di tutti noi. Dei cittadini di Avola, nel caso specifico, che potevano utilizzarla e fruirne.