Il “bisiniss” della droga, definito così dallo storico capo mafia, Antonino Pinuccio Trigila, è tra le attività illecite maggiormente remunerative poste in essere dal clan che Pinuccio continua a comandare, nonostante sia in galera dai primi anni novanta.
Un traffico, per fornire qualche cifra, da milioni di euro complessivi che ha fruttato ai boss ed alle famiglie guadagni da capogiro.
Ciò di cui parliamo non rappresenta soltanto l’ottimo lavoro degli inquirenti e dei magistrati per comprendere – e sgominare – uno dei traffici illeciti per antonomasia (che ha portato agli arresti della moglie, Nunziatina Bianca e del fratello, Gianfranco, del capomafia Antonino Pinuccio Trigila), rappresenta anche la conferma di ciò che abbiamo scritto tempo fa (LEGGI ARTICOLO).
Il clan Trigila da decenni opprime la zona meridionale della provincia di Siracusa (Noto, Avola, Pachino, Portopalo, Rosolini) e, in particolar modo, i familiari del boss Pinuccio Trigila hanno continuato a portare le informazioni all’interno del carcere allo storico capomafia, per poi riferirne gli ordini agli affiliati. E spesso gli “ordini” riguardano affari interni al clan, come quello trattato oggi o come le estorsioni, l’investitura di nuovi affiliati, l’appoggio a candidature elettorali, il tentativo di occultare omicidi e tanto altro.
Quell’articolo ci è costato diverse querele, soprattutto dalla signora Nunziatina Bianca che si diceva totalmente estranea e fortemente provata dalla nostra attività d’inchiesta.
Ed invece, l’indagine “Ultimo Atto” della Polizia di Avola ha dimostrato che scrivere per i giornalisti vuol dire anche “rischiare”, con l’unico obiettivo di informare i cittadini ed aiutarli a formare una propria opinione su fatti e persone, come i Trigila.
E’ ciò che continuiamo a fare!
L’ASSURDO ACCADE IN GALERA: DUE BOSS ALL’ERGASTOLO ORGANIZZANO IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI
La galera dovrebbe rappresentare la “rieducazione del detenuto”, spesso però ciò non accade. L’esempio odierno ne è la più importante testimonianza. Ed è una testimonianza che impone di riflettere sull’opportunità di riportare al 41bis (cioè al carcere duro, senza possibilità di scambi con l’esterno) il boss Antonino Pinuccio Trigila ed il suo vicino di cella, un altro capomafia, Francesco Sergi.
I due boss erano entrati così tanto in confidenza che Sergi chiese a Trigila di intervenire per vendicare il proprio onore, per una storia di “corna” relativa ad una ex dello stesso boss ndranghetista.
Facendo un passo indietro, è bene precisare la “carriera” criminale di questi due mafiosi.
Antonino Pinuccio Trigila (chiamato Pinuccio Pinnintula), è condannato all’ergastolo, per essere il promotore, l’organizzatore, del clan che porta il suo cognome e per essersi macchiato di svariati episodi sanguinari.
Francesco Sergi è il capo indiscusso dell’omonimo clan (la ‘ndrina Sergi) che, da anni, ha piantato le proprie radici anche in provincia di Milano. Sergi sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo comminatagli per cinque omicidi e traffico organizzato di stupefacenti.
Appare folle riscontrare come i due fossero rinchiusi nel carcere di Biella, con due celle vicine e che potessero conversare, discutere e diventare i promotori di un nuovo traffico organizzato di sostanze stupefacenti, proprio dall’interno.
E’ la testimonianza che il loro regime carcerario non funzioni e che si dovrebbe ripensare, per i due, al 41bis.
COSI’ NASCE IL “BISINISS” DELLA DROGA: DA BIELLA A NOTO
Sono proprio i due storici boss, Antonino Pinuccio Trigila e Francesco Sergi, che mettono in piedi il traffico di stupefacenti, con l’aiuto dei familiari, dei congiunti e degli affiliati. Ma vediamoli nello specifico.
Dalle risultanze acquisite grazie alle intercettazioni effettuate presso il carcere di Biella dagli inquirenti (e dalle dichiarazioni dei pentiti), è emerso che l’intero traffico è stato diretto e organizzato dallo stesso Trigila, sia direttamente che tramite la moglie Nunziatina Bianca, il genero Graziano Buonora ed il fratello, Gianfranco Trigila.
Così come è emerso che i parenti dei due boss entravano in carcere e prendevano accordi all’interno, in qualche occasione addirittura scambiandosi il denaro per la droga acquistata.
E’ Pinuccio a parlare con i familiari ed a spiegare cosa dire e come fare:
“Tu, devi dire, le vuoi le pecore?? Dice: Si! Se le vuoi, devi dire, con questo sistema!”.
Poi si vanta che a lui darà solo e soltanto “roba buona”:
“Questi solo roba buona. No, dice: il bicchiere è bicchiere…(per indicare che sono precisi)”.
Ed è sempre il boss Trigila ad indicare al genero come organizzarsi:
“uscendo…trovi i parenti suoi” perché hanno anche loro il colloquio in carcere.
Al fratello Carmelo, “don” Pinuccio chiede la disponibilità e offre consigli su come portare la droga, sfruttando la propria attività di trasporto cavalli. E lo fa in maniera drammatica per la salute del cavallo stesso, cioè posizionando la droga nelle parti intime delle giumente:
“nella fattrice (la cavalla) (con il braccio fa cenno di spingere qualcosa)” funziona “come la pecora….( prende una brioche e fa cenno di spingerla) ci tiene! Tranquillo! Metti olio infili e la lasci stare la!! Mi stai capendo?! tiene tranquillo!! …L’hanno provato e tiene, tranquillo!! Una…, due, così, con i pollici e gli indici… olio (ripete il gesto di infilare un guanto) accarezzi …accarezzi …affete… affete…infili e te ne vai, la pecora poi si chiude da sola!!”
Ed infine, ma ne potremmo citare infinite, anche sul prezzo della vendita e sul guadagno, “don” Pinuccio ha le idee chiarissime:
“Da quaranta te ne puoi scendere, per dire, a trenta…(…) Lo devi fare dipendere da lui. Io anche quaranta, devi dire, non c’è problema!! Tanto poi ( mima il gesto di tagliare)…” abbiamo “centomila euro di guadagno…!! Ti sto dicendo che c’è….l’ottanta per cento di…..” guadagno.
Pinuccio Trigila dal carcere pensa proprio a tutto, si interessa con la moglie Nunziatina Bianca (alla quale chiede anche di fare un regalo per la nascita del nipote del boss, Francesco Sergi!), col fratello Gianfranco e col genero Graziano su chi anticipa i soldi per la droga, offre consigli alla figlia Angela, ricorda gli altri detenuti da sostentare, si arrabbia per alcuni tagli nella cocaina “fatti male”.
IL RUOLO DEGLI “AMICI CALABRESI”
Francesco Sergi, al pari di Pinuccio Trigila, curava con i propri familiari il traffico di stupefacenti e si accertava che fosse “buono” (in un’occasione ha rinviato la consegna ai Trigila perché non lo reputava all’altezza) e di non fargli fare cattiva figura.
I calabresi si occupavano – secondo le indagini della Polizia -, in particolare della fornitura dello stupefacente, che giungeva ai Trigila per il tramite di Giuseppe Zavettieri (cognato di Sergi Francesco) e di Domenico Sergi (figlio di Francesco Sergi).
Il ruolo dei Sergi è confermato anche da alcuni collaboratori di giustizia, legati al clan Trigila, che ne hanno chiarito i contorni.
L’indagine della Polizia ha consentito, secondo quanto emerge, di avere riscontro di frequenti contatti tra Graziano Buonora e Salvatore Collura da un lato, Domenico Sergi e Giuseppe Zavatteri dall’altro, i quali, all’esterno, davano concreta attuazione alle intese raggiunte tra le mura del carcere di Biella dai boss e poi diramate ai sodali e familiari di Trigila e Sergi, durante i colloqui personali. Il tutto materialmente movimentando lo stupefacente (Zavettieri e Collura) ed incassando i relativi proventi.
La droga dai calabresi, in particolare da Giuseppe Zavatteri, arrivava a Salvatore Collura, uno degli uomini più di fiducia del clan Trigila e dello stesso Pinuccio oltre a Graziano Buonura.
LA DROGA NEL NETINO
Salvatore Collura e Graziano Buonura cedevano lo stupefacente ai sodali di Antonino Campisi (detto Toninu u Scoppiu) ed a Santo Di Pietro (oltre al figlio Sebastiano), in nome e per conto di Marco Di Pietro (in galera come Antonio Campisi). Santo Di Pietro infatti, va ricordato, è fratello di Marco Di Pietro (detto Marco Motta), eseguiva gli ordini a sua volta proprio del fratello carcerato.
Toninu u Scoppiu, cioè Antonino Campisi, è ininterrottamente detenuto dal 1993 e sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo, quale affiliato al clan Trigila ed autore di diversi omicidi.
Campisi, secondo le indagini e le parole dei collaboratori, faceva gestire la droga da Giuseppe Capozio (genero del Campisi, ha sposato la figlia Monica e ha riportato una condanna definitiva per detenzione di armi) e da Corrado Ferlisi (detto “Currau m’arrabbio”, oggi collaboratore di giustizia).
Un ruolo importante, secondo quanto emerge dalle dichiarazioni dei pentiti, avrebbe avuto Michele (detto Mike) Angelino.
Michele Angelino è di Noto ma da anni risiede a Trezzano sul Naviglio (in provincia di Milano), dove ha una panetteria con la moglie.
Per i pentiti è
“un appartenente al clan Trigila fin dai primi anni Novanta, e attualmente è il referente di Trigila Antonino detto Pinuccio, con l’incarico di far pervenire a Noto la cocaina”.
E’ importante ricordare, inoltre, come Michele Angelino non sia un incensurato, ha una condanna per associazione mafiosa risalente al 2002.
Secondo quanto risulta, spesso Sergi e Zavatteri cedevano lo stupefacente direttamente a Michele Angelino (sfruttandone l’attività in Lombardia) per poi, a sua volta, farlo arrivare a Noto.
Spesso, inoltre, era Michele Angelino ad occuparsi dell’ospitalità dei parenti di “Zu” Pinuccio in Lombardia, così come fosse sua competenza fare la spola dall’aeroporto di Malpensa al carcere di Biella, per accompagnare i familiari del boss (Nunziatina Bianca, Graziano Buonora e Angela Trigila, su tutti).
E’ chiaro come Antonino Pinuccio Trigila e Francesco Sergi siano boss in piena attività, nonostante vedano il “sole a quadretti” da anni. Entrambi hanno il “fine pena mai”, eppure continuano a gestire i propri traffici illeciti in maniera disinvolta.
Non sarebbe, a questo punto, opportuno riportarli al regime carcerario del 41bis (cioè al carcere duro)?
Bravo, continua così, sei l’orgoglio del nostro Paese!
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