Come un orologio le cui lancette tornano a battere lo stesso orario, nello stesso luogo – Vittoria – con gli stessi personaggi ai quali se ne aggiungono di nuovi.
Vittoria non può permettersi un tuffo nel passato, aggravato dalle attuali condizioni criminali.
Eppure si sapeva già da prima della scorsa estate che qualcosa stesse accadendo, che chi si trovava nelle patrie galere stava per concludere il proprio periodo da “galeotto”.
Così a Vittoria e nel vittoriese ricominciano ad affacciarsi personaggi noti alle cronache, mafiosi – o presunti tali -, pentiti o meno, che tentano di riappropriarsi di affari che sembravano lontani.
Dalla scomparsa, nei fatti, della Stidda a Cosa Nostra che si era appropriata degli affari nel vittoriese, nel ragusano. Lo aveva fatto senza eccessivo spargimento di sangue e con un profilo più basso. In assoluta sintonia con la nuova strategia palermitana.
I pentimenti, gli arresti.
Gli investigatori hanno fatto piazza pulita dei più pericolosi ma, negli anni, l’avvicendamento c’è stato per i mafiosi, troppo spesso non per i (seppur sempre più bravi) inquirenti.
Così a calcare le scene sono rimasti i Piscopo, sono ritornati molti degli affiliati al clan “Carbonaro Dominante”, usciti per fine pena (per quelle famose lancette che hanno completato il “giro d’orologio”).
Fra loro – stando ai bene informati – anche direttamente i fratelli Carbonaro, ritornati in zona.
Cosa tornano a fare? Conoscerli, riconoscerli, isolarli ed evitarli. Ma ci vuole lo Stato.
E’ così che Vittoria non può che unirsi in un tutt’uno, senza distinzione politica alcuna, e far sentire forte la presenza delle Istituzioni. Dello Stato.
L’omicidio di Michele Brandimarte è solo uno degli episodi inquietanti che, sino all’incendio della azienda agricola avvenuto nei giorni scorsi, rappresentano un allarme diffuso e serio.
Michele Brandimarte frequentava, secondo un imprenditore che ne ricevette la visita, la realtà vittoriese già da un paio di anni.
La compagnia era delle “migliori”, si andava da Francesco Nigito (ucciso poco dopo) fino ad arrivare ad alcuni titolari di ditte di autotrasporti. D’altronde non va dimenticato che gli affari della droga dei Brandimarte coinvolgevano il Porto di Gioia Tauro. Lo stesso porto che, spesso, vede transitare i tir, i trasporti su gomma, da e per il mercato di Vittoria.