BREVI E CONFUSE RIFLESSIONI SUL RISPETTO DELLE LEGGI: Dal caso Lucano al caso di Lodi, dalla disobbedienza civile alla pratica della democrazia

Il caso giudiziario di Mimmo Lucano, da tenere ben distinto dal modello Riace, è complesso, perché presenta luci e ombre di un sistema nel quale, a causa di diversi fattori che spaziano dall’emergenza di salvaguardare i diritti dei singoli alla necessità di rispettare le leggi dello stato, passando per le lungaggini di una burocrazia kafkiana, l’interazione delle norme con l’attività amministrativa e politica conduce a dare letture alternative e contrapposte del concetto stesso di applicazione/rispetto della legge.

E’ inutile precisare che, in un mondo che tende a semplificare oltre il necessario, queste diverse letture finiscono per fagocitare anche il dibattito sull’immigrazione, determinando una radicalizzazione di posizioni, a tutto vantaggio degli sciacalli della politica.

Io, però, oggi non voglio parlare di migranti, perché il mio interesse è quello di porre una domanda di ordine generale partendo proprio dal caso Lucano: è giusto che un amministratore locale violi le leggi dello stato per raggiungere e realizzare una sua idea di governo del territorio?

Alcuni sostengono di sì, facendo leva sul concetto di disobbedienza civile, quando la legge violata appare profondamente ingiusta e/o motivata da ragioni che vanno in senso contrario ai principi della convivenza e del rispetto umano (Thoreau, ad esempio, praticò la disobbedienza civile per protestare contro lo schiavismo).

La legge Bossi-Fini può essere considerata, a certe condizioni, una legge ingiusta nei termini appena detti, così come la regola imposta dal Sindaco di Lodi sulle certificazioni patrimoniali estere, chiaramente finalizzata a creare una situazione di segregazione razziale all’interno di una scuola elementare, a discapito di bambini stranieri.

Non possiamo dire lo stesso, invece, per le norme sugli affidamenti degli appalti e per quelle che regolano il contratto di matrimonio e sovrintendono la fede pubblica dei registri dello stato civile.

D’altra parte, è lecito chiedersi se e in che termini la violazione di talune norme generali dell’ordinamento giuridico diventa necessaria per il raggiungimento di uno scopo, anche se meritevole di tutela, soprattutto quando l’inosservanza della norma è commessa da parte di chi detiene una funzione politico-amministrativa.

E’ assolutamente indispensabile, in quest’ultima ipotesi, compiere un atto di disobbedienza civile oppure è possibile raggiungere gli obiettivi rispettando la legge e rendendo contemporaneamente manifesta l’ingiustizia della sua stessa applicazione?

Socrate, ad esempio, bevve la cicuta per rispetto delle leggi di Atene, ma la sua esecuzione è passata alla storia come atto di profonda ingiustizia e viene spesso ricordata, nel dibattito dei rapporti politici, proprio per negare che il diritto possa diventare strumento di oppressione.

Inoltre, se dovessimo far passare l’idea secondo la quale un Sindaco può violare le regole, che valore cogente reale avrebbero le norme giuridiche?

Siamo veramente certi che le strette maglie della “disobbedienza civile” non possano, nel tempo, essere “allargate” tanto da comprendere ogni forma di resistenza ad ogni tipo di vincolo normativo, anche di carattere procedurale?

Chi può dire, quindi, che ogni amministratore, di fronte agli impedimenti normativi di realizzare una sua idea di governo del territorio, non possa invocare la disobbedienza civile?

E che tutela avremmo, come individui, contro questa forma di potere “al di sopra delle leggi”?

C’è il rischio che si possa finire non già nell’anarchia, che la concezione volgare ha erroneamente identificato con il caos sociale, ma nell’assolutismo del potere politico, con la scomparsa dello Stato di diritto e la sola subordinazione dell’individuo (e delle sue sorti) all’azione e all’interpretazione di chi occupa le Istituzioni.

Sarebbe un ritorno indietro, determinato e giustificato, paradossalmente, da una condotta assunta “a fin di bene”. Nella storia tante volte è accaduto che da ottimi principi e migliori intenzioni si è finiti per realizzare l’oppressione.

Per finire, poi, mi pare che la reazione di tanti italiani al citato caso di Lodi sia stata quella di “disobbedire” alla pseudo-regola della Sindaca, ma facendone un’applicazione pedissequa, cioè pagando la retta a prezzo pieno in favore dei bambini stranieri. In tal modo le finalità discriminatorie che stavano alla base di quel provvedimento, basato su una furba ma politica interpretazione di una norma generale, sono state rese evidenti, nella misura in cui i bambini più poveri pagheranno di più solo perché stranieri, così palesando la violazione di legge, anche per eccesso e sviamento di potere, insita nell’atto amministrativo di quella giunta e, quindi, la contrarietà di tale provvedimento alle norme del nostro ordinamento, con la conseguente impugnabilità dello stesso nelle sedi competenti.

Se vogliamo, la raccolta di fondi per i bambini di Lodi è un’altra e forse più forte pratica di disobbedienza civile, quella democratica in quanto coinvolge il corpo sociale, grazie alla quale hanno prevalso principi generali del nostro ordinamento contro uno squallido e vile tentativo di emarginazione.

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