Ai domiciliari, su una sedia a rotelle, ma in grado di tutelare gli interessi del clan nell’importazione di grosse partite di cocaina dall’Ecuador, da ‘piazzare’ sul mercato della droga campano e non solo, ma soprattutto di progettare un agguato per liberarsi di un rivale.
Bernardo Tamarisco, 44 anni, a capo dell’omonimo clan di Torre Annunziata con propaggini nell’agro nocerino-sarnese, negli anni ’90 nemico dei Gionta, ma da sempre leader nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, e’ finito in carcere come il fratello Francesco (43 anni), il capoclan arrestato nell’aprile 2014.
L’uomo, con problemi agli arti inferiori per un agguato di cui e’ stato vittima proprio durante la ‘guerra’ con i Gionta, e’ stato fino allo scorso 6 aprile in stato di detenzione a casa sua per una pena definitiva di 5 anni inflittagli da giudici di Salerno. Con lui, in carcere altre 22 persone, mentre il gip ha concesso i domiciliari a 7 indagati e emesso un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per altri cinque.
L’indagine della procura di Napoli individua due organizzazioni di narcotrafficanti, quella dei Tamarisco, conosciuti anche come Nardiello appunto, e una piu’ piccola, con 4 persone coinvolte, che fa capo a Francesco Matrone, 33 anni, che insieme a un campano, un trevigiano e uno sloveno, sempre avendo Torre Annunziata come base logistica, importava dalla Spagna hashish grazie a corrieri.
La cocaina, dicono le indagini delal Guardia di finanza, proveniva dall’Ecuador grazie a navi in carichi fasulli che arrivavano nel porto di Salerno, dove i Tamarisco potevano contare su appoggi tra gli addetti alla movimentazione dei container. Nel corso delle indagini, sequestrati in quello scalo marittimo 48 chili di coca a giugno 2014 e altri 24 a dicembre di quell’anno, mentre nel porto di Manzanillo, a Panama, la polizia locale ne ha sequestrati altri 33 chili a marzo 2015.
Bernardo Tamarisco, dicono le indagini, voleva a tutti i costi riaffermare la potenza del clan e farlo anche in maniera clamorosa e sanguinaria come l’uccisione di un uomo, non identificato, con il quale era entrato in contrasto. Era stata scelta l’arma, una pistola Glock, scelto il mezzo, una moto, e il luogo dove agire. E anche i killer era pronti: “domani deve stare nella bara.
Domani si deve fare il servizio, gli ‘schiatto’ la capa e vado via”. Una intercettazione ambientale del 12 aprile scorso svela agli inquirenti che i Tamarisco erano pronti ad uccidere anche con l’aiuto dei Gionta, con i quali hanno stretto poi un’alleanza.
Una volta giunta sul mercato campano, la cocaina importata dai Tamarisco veniva collocata sul mercato attraverso soprattutto Vincenzo Barbella, un pluripregiudicato 69enne che acquistava all’ingrosso dal clan per poi rivendere alle ‘famiglie’ del Napoletano che cosi’ rifornivano le loro piazze di spaccio.
I Tamarisco avevano anche instaurato di recente un rapporto con una cosca della ‘ndrangheta jonico-reggina, cosi’ come mostra il sequestro a novembre dello scorso anno di un chilo di cocaina in un bed and breakfast oplontino che un rappresentante della ‘ndrina aveva portato come campione grazie a un corriere con un’auto munita di doppiofondo. Eseguito anche l’arresto di Salvatore Iavarone, il broker della coca residente in Ecuador, grazie a un mandato di arresto internazionale; l’uomo viveva a Guayaquil, dove gestiva attivita’ commerciali, e da quel porto salpavano le navi cariche della ‘neve bianca’ destinata al clan di Torre Annunziata.
In una nota, il procuratore aggiunto Filippo Beatrice ringrazia per questo arresto la polizia locale per aver collaborato alla individuazione e alla cattura di Iavarone nonostante l’emergenza legata al sisma che ha interessato quel paese. Una ‘cimice’ messa dalle forze dell’ordine nell’abitazione di Domenico Tamarisco, non solo ha fatto luce sul narcotraffico, ma ha anche portato al decreto di fermo a suo carico per l’omicidio che stava progettando.