Come nelle vecchie favole c’era una volta, nell’attività di contrasto alla delinquenza in genere, uno strumento d’indagine di straordinario valore info–investigativo: il “controllo del territorio”.
Ora non c’è più, o quasi.
Ma cosa s’intende per controllo del territorio?
Niente di più che la conoscenza, da parte delle Forze dell’Ordine, del luogo di competenza su cui sono chiamati ad operare ed esercitare i loro compiti istituzionali. In sintesi, la conoscenza:
della planimetria del posto;
dei cittadini che vi abitano: informazioni sulla condotta e la moralità, il tenore di vita, il lavoro, la redditività, le frequentazioni abituali e sporadiche, i rapporti parentali, i precedenti e/o pregiudizi penali, la presenza di eventuali organizzazioni criminali e l’identificazione dei facenti parte;
l’esistenza di attività economiche, insediamenti industriali, centri di divertimento pubblici e privati, nonché di uffici pubblici, strutture sanitarie, circoli politici e sedi religiose.
Insomma, una conoscenza, la più ampia possibile, del luogo e della sua gente, dove un Corpo di Polizia è chiamato ad operare.
Come veniva svolto questo controllo territoriale?
Mediante una presenza costante (H-24) degli operatori di polizia nel luogo, che si sviluppava, essenzialmente, attraverso:
controlli sulle persone e sulle attività economiche;
attività informativa (acquisizione di notizie confidenziali);
rapporti relazionali con la gente del luogo e le autorità ivi presenti: sindaco, prete, direttori di enti pubblici, imprenditori, ecc.
In estrema sintesi, il controllo del territorio permette di conoscere pienamente, sul piano umano, economico ed ordinamentale, il luogo dove vive e opera una collettività, nonché di rilevare la presenza di eventuali agenti disturbatori dell’ordine pubblico.
Prima dell’avvento dei collaboratori di giustizia (inizio anni ’90) questa attività costituiva la linfa vitale dell’azione di contrasto al crimine da parte di un corpo di polizia. Attraverso questo tipo d’investigazione si sono potuti costruire gli organigrammi delle famiglie mafiose ed identificare i loro accoliti e favoreggiatori, individuare prestanome in attività economiche e soggetti dediti alle truffe, alle estorsioni, all’usura, al traffico di stupefacenti, agli attentati dinamitardi e incendiari etc; si è potuto, in molti casi, impedire la commissione di ulteriori delitti. Successivamente ha consentito di dare riscontro alle numerose dichiarazioni dei collaboranti, facendo luce su fatti delittuosi che precedentemente non era stato possibile denunciare all’autorità giudiziaria, per mancanza di prove precise e inequivocabili.
E’ evidente che stiamo parlando di attività investigativa pura, senza aiuti esterni, fatta di controlli, accertamenti, acquisizione di dati e notizie che incrociati tra di loro portavano alla formulazione di ipotesi delittuose ovvero alla soluzione del caso.
Oggi tutto questo non si fa più o quasi; non perché l’attività info-investigativa in argomento sia stata abolita, ma per una serie di motivi:
è venuta meno la forza umana da impiegare a tale scopo, a causa della costante riduzione di fondi alle FF.PP. Ci sono Comandi dell’Arma dei Carabinieri, operanti in luoghi ad altissima densità mafiosa, formati da 5/6 persone, comandante e piantone – centralinista compresi. Cosa possono fare 3/4 agenti in queste località dove la presenza di malavitosi è 20 volte superiore;
il ricorso sempre più frequente, praticamente costante, ai collaboratori di giustizia e alle intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Strumenti, questi, essenziali per la lotta al crimine in generale ma non esaustivi senza un capillare e assiduo controllo del territorio. Le propalazioni dei collaboranti, spesso “de relato”, hanno bisogno di riscontri obiettivi che si possono trovare solo in atti redatti da operatori di polizia nel corso della loro principale attività d’istituto, cioè controlli di polizia, relazioni, attività informativa, fermi di p.g., perquisizioni sul posto, ecc.
Come, del resto, anche le intercettazioni di comunicazioni telefoniche e ambientali non sono infallibili, in quanto, in alcuni casi, i dialoghi e le immagini poco comprensibili vengono interpretati dagli agenti che ne curano l’ascolto e la visione. Ma non solo in passato l’attività d’intercettazione era curata totalmente dagli organi di polizia, con mezzi antiquati (RT 6000) mentre oggi è gestita da imprese private, che mettono a disposizione strumenti altamente tecnologici, investendo capitali enormi, di cui si sconosce la reale proprietà. Il costo che l’amministrazione dello Stato sosterrebbe in un anno per le intercettazioni telefoniche e ambientali ammonterebbe a circa 200 milioni di euro. Una somma di denaro non indifferente che fa gola ai grandi gruppi imprenditoriali.
In conclusione, avere sotto controllo tutto ciò che si verifica sul territorio è di primaria importanza per potere esercitare il potere, nel nostro caso il rispetto dell’ordine democratico. Tanto è vero che anche le organizzazioni criminali lo esercitano attraverso la presenza costante, di giorno e di notte, di loro sodali sulla zona di competenza, finalizzata a mantenere la quiete e l’ordine, senza le quali sarebbero a rischio i loro affari illeciti. Se c’è ordine e quiete non c’è la presenza di polizia e in assenza di questa le attività criminali prosperano.
Qualcuno sostiene, non ricordo chi (forse Sansonetti, direttore del quotidiano Cronache del Garantista), che la polizia in genere non deve fare attività di prevenzione ma che deve solo preoccuparsi ad accertare i reati che si sono verificati. Io dico che l’attività principe di qualsiasi organo di polizia dovrebbe essere quella di prevenire il compimento dei reati ed impedire che altri ne vengano commessi. Ma questo si può ottenere solo ed esclusivamente con un grande opera di controllo del territorio. In mancanza di questa attività, gli operatori di polizia, saranno sempre a rincorrere e mai in anticipo. Capire e anticipare le mosse del nemico porrebbe la forza pubblica in una condizione di vantaggio che gli consentirebbe, non solo di raggiungere la soluzione del caso in tempi ristretti, ma di ridurre i costi sia in termini di impiego di risorse umane che in termini economici. Ma non solo, si otterrebbe un grande successo, forse il più grande: maggiore consenso e fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini. Quel consenso e quella fiducia che sempre più, ahimè,vengono riposte nella mafia e nei suoi uomini.
Le favole finiscono sempre con la frase: “E tutti vissero felici e contenti”.