“Sono pronto anche a morire, ma so che sto combattendo dalla parte giusta della storia”.

Non usa mezze parole, per raccontare a Paolo Borrometi dell’Agi la propria storia, il 26enne siciliano Paolo Andolina, nome da combattimento “Azadi”. Nato in provincia di Siracusa, è conosciuto da tutti come “Paolo Pachino” proprio per la provenienza dalla cittadina siracusana, è “l’unico siciliano” – racconta con un pizzico di fierezza – “ad essere in Siria per combattere l’Isis. Sono un ‘foreign fighter’, ma dalla parte giusta”.
Paolo “Pachino”, di professione cuoco, racconta di provenire da “una famiglia non certamente ricca” e di essere “cresciuto nelle case popolari”. E’ partito per il paese di Assad da nove mesi e fa parte dello Ypg.
“Lo Ypg è l’unità di difesa del popolo – spiega – che difende i popoli della confederazione democratica della Siria, conosciuta da tutti come Rojava. Prima di venire qua ho sempre militato nei movimenti e portato avanti le lotte sociali in favore degli sfruttati, dei poveri e degli immigrati. Ciò che mi ha spinto a venire in Siria sono le atrocità commesse dall’Isis e la scelta di quei popoli che vivono nel nord della Siria: né con Assad né con i ribelli e hanno deciso di creare un autogoverno, criticando la costruzione di uno stato nazione, per la creazione di confederazioni”.
La paura, come detto all’inizio, è ben chiara nelle parole del 26enne siciliano ma, più che il terrore di perdere la vita, vi è quello di “rimanere senza gambe, senza occhi perché magari salto su una mina, una di quelle che ci mettono per ammazzarci i combattenti dell’Isis, quando liberiamo qualche città o mentre avanziamo verso Raqqa”.
Si, proprio Raqqa, la “capitale del Califfato”. “Ho partecipato – racconta all’Agi – all’operazione di avvicinamento a Raqqa e ho combattuto sul fronte di Manbij. L’ultima operazione a cui ho partecipato è stata quella con l’Antifatabur, un’unità antifascista di internazionalisti dello Ypg. Con loro abbiamo liberato la città di Al Karamah che si trova ad est di Raqqa.
Molti miei amici sono morti combattendo l’Isis in queste operazioni e, molti di loro, erano europei uniti allo Ypg come me. Il mio pensiero va a loro”.
Oggi Paolo si trova a Karackok, al confine con il Kurdistan iracheno. “Questa zona, la notte del 24 aprile, è stata bombardata dall’esercito turco, nemico da sempre dello Ypg. La nostra base non è stata colpita, ma quella a poche centinaia di metri da noi purtroppo sì e hanno perso la vita 12 compagne e 10 compagni che ben conoscevo. In quella base potevo esserci io”.
Proviamo a domandare come siano i combattenti dell’Isis ed il 26enne siciliano non fa giri di parole.
“Quando li combatti senti urlare “Allah Akbar”, cercano così di sfruttare soprattutto l’aspetto psicologico ed incuterti paura. Per i miliziani di Daesh è palese che quel grido diventi uno strumento per incutere paura, è un’arte che hanno acquisito allenandosi ed inquieta molto.
L’Isis governa solo grazie agli orrori ed alla violenza usata sul popolo. Se un uomo non fa rispettare la Sharia alla moglie viene torturato e la donna rapita, il tutto fino a quando il marito non la costringa a rispettarla”.
Uccidere non è mai semplice, anche quando sai che hai davanti persone senza scrupoli, ma per “Pachino” è “necessario ed inevitabile”.
“Non si uccide mai per piacere, se si può si evita. Uccidere a caso – spiega – è contro la nostra etica e l’etica dello Ypg. Si uccide solo per necessità, per difendere un popolo e sconfiggere l’Isis che da anni stupra, uccide e sgozza, per imporre la loro ideologia. Se non fosse necessario non lo faremmo, ma purtroppo lo è”.
Eppure spesso capita di soccorrere i militari di Daesh. “Se si ferisce un combattente e riusciamo a non farlo esplodere (perché spesso tentano di farsi saltare in aria), più che prenderlo prigioniero, cerchiamo di soccorrerlo. Io sono ateo e credo che l’Islam per loro sia solo una scusa. Il loro è solo fanatismo. Usano la religione per plagiare le menti”.
Non può mancare un appello “dal fronte” alla comunità internazionale.
“Devono smetterla di fare il doppio gioco. La verità è che la comunità internazionale gioca, una volta noi una volta i turchi. Così non si fa che dare respiro e vita all’Isis.
Lo Ypg è l’unico esercito sul campo che sta riuscendo a sconfiggere l’Isis, tanto è vero che siamo alle porte di Raqqa. Quanto accade a Mosul in Iraq è un esempio lampante, si va avanti da mesi e sono bloccati. Noi, a differenze di quello che succedeva Mosul, cerchiamo di salvaguardare i civili al costo di sacrificare le nostre vite e limitando i bombardamenti della coalizione internazionale. Cerchiamo di coordinarci per far bombardare solo i Daesh. Prima vengono i civili che, purtroppo, spesso vengono usati come scudi umani e se ciò succede combattiamo noi, magari anche morendo ma sul campo e per salvare molte più vite umane”.
Infine il ritorno alla vita normale, non prima di “essere arrivati a conquistare Raqqua. E’ questo uno dei miei sogni – conclude Paolo” insieme ad altri, altrettanto ambiziosi: “affinché tutto il Rojava possa realizzare la rivoluzione che sta portando avanti e che i popoli della Siria vivano liberi da ogni tirannia. Il medio oriente deve smetterla di soffrire e pagare le guerre create e volute dalle potenze mondiali”.
Paolo Borrometi per l’AGI