La tragedia avvenuta la mattina del 3 ottobre nei pressi di Lampedusa solleva molteplici, drammatiche, inevitabili domande che scuotono la coscienza di ogni persona che non abbia un cuore di pietra: interrogativi di carattere geopolitico, culturale, economico che, in qualche modo, toccano tutti – chi ha responsabilità politiche e istituzionali, ma anche la gente comune.
Lasciando sullo sfondo queste domande decisive, vorrei qui considerare un piccolo spicchio del problema: quello religioso. Infatti, sia quanti, tra gli italiani e gli europei, vogliono un’Europa difesa come un castello contro coloro che fuggono dal Nordafrica e raggiungono l’Italia per salvarsi, sia quanti vogliono aprire il cuore, e il paese, a quelle genti sventurate (ed a Lampedusa abbiamo visto, in merito, esempi meravigliosi!), sono per lo più cristiani, cattolici o di altre Chiese. Dunque, non è inutile domandarsi che cosa, le Sacre Scritture, dicano a proposito dei “forestieri” che ti chiedono rifugio.
A livello esegetico vi sono molte discussioni sulle varie denominazioni che nel Primo Testamento designano i “forestieri”, e sull’atteggiamento da prendere verso di essi. Ma, in sintesi, il succo era questo: “Il forestiero dimorante tra di voi lo tratterete come uno nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nella terra d’Egitto” (Levitico 19,33). E, immaginando le domande che il Signore farà nel giudizio universale, Gesù dirà ai buoni: “Fui forestiero e m’accoglieste” (Matteo 25, 35). E, al rovescio, ai malvagi: “Ero forestiero, e non mi avete ospitato” (Matteo, 25,43).
Quanti si dicono cristiani, dunque, hanno una bussola per orientarsi. Naturalmente, le Scritture non danno la ricetta per risolvere problemi geopolitici, sociali ed economici complessi: sta ad ogni persona, in ogni tempo e luogo, assumersi responsabilmente il compito di trovare, qui e ora, soluzioni positive a problemi complessi. Ma, pur non dando soluzioni bell’e fatte, le Scritture illuminano l’orizzonte etico, ai cristiani, per orientarsi: fare di tutto, e più ancora, per aiutare le persone colpite dalla fame, dalla guerra, dalla speculazione di persone avide e corrotte, da leggi europee spietate. Il criterio? “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Ellis Island è un isolotto di fronte a New York dove, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, tutti gli “emigranti” provenienti dall’Europa (e furono 27 milioni!!!) dovevano fare la quarantena: quelli che all’esame medico risultavano ammalati, o non potevano documentare che qualche parente o amico li avrebbe ospitati, venivano respinti, e dovevano tornare indietro. Ebbene, nel museo dell’isola vi era una grande foto di tre donne calabresi, appena “scartate”, e dunque costrette a tornare a casa. Sul volto di quelle tre donne appariva una disperazione infinita.
Oggi quella disperazione è moltiplicata per mille sul volto di quelle donne, dei bambini, degli adulti che fuggono dall’Africa subsahariana, e su barconi di fortuna cercano di raggiungere l’Italia, prima tappa per l’Europa. Eliminare le cause di questa dolorosissima situazione – soprattutto le guerre sulla cui genesi, spesso, vi è anche l’Occidente – non sarà facile; e arduo sarà trovare una politica europea comune per regolare in modo giusto ed umano l’esodo incessante dall’Africa (ma, adesso, anche dalla Siria) verso l’Europa. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere problemi intricatissimi. Tuttavia, se a dominare le decisioni politiche sarà, in fondo, l’egoismo, si prende una strada; se sarà la solidarietà verso gente sfortunata, si prenderà un’altra strada. In ogni modo quanti, pur proclamandosi cristiani, e sempre pronti a difendere le “radici cristiane” dell’Europa, rimangono impassibili (se non sono addirittura felici!) per ogni barcone che si rovescia nel Mediterraneo, abbiano almeno il coraggio di dire di non voler più essere cristiani.