Da diverso tempo cerco di capire cosa stia accadendo a Marina di Modica, lì dove una volta esisteva lo stabilimento balneare Itaparica. Leggo di proteste e di esposti. Leggo di mobilitazione e di iniziative a difesa del nostro patrimonio naturalistico ma anche di prese di posizione a favore della libera impresa, soprattutto da parte di chi ritiene che la realizzazione di un’opera edilizia a ridosso del sito di interesse comunitario possa determinare un incentivo alla crescita economica del settore turistico e alberghiero della nostra frazione balneare.
Premetto subito che non ho intenzione di discutere sull’effettiva possibilità, secondo legge, di realizzare un edificio proprio in quel sito. Non lo faccio semplicemente perché sono certo che l’impresa costruttrice e/o la sua committente sono munite di autorizzazioni e concessioni, per cui ritengo superata la questione (anche se a questo punto si potrebbe e dovrebbe discutere sull’esistenza di una normativa che, paradossalmente, consente il rilascio delle autorizzazioni in casi del genere).
La mia riflessione, dunque, si vuole muovere su un altro piano, partendo da alcune domande molto banali: questa opera era strettamente necessaria? fino a che punto la necessità di creare sviluppo turistico in quel luogo? Tale sviluppo deve passare necessariamente attraverso la cementificazione anche di aree a rilevante interesse naturalistico?
Ci troviamo di fronte ad interessi contrapposti che possono entrare in conflitto: da un lato l’interesse a fare impresa e creare un produttivo margine di attrazione turistica e dall’altro lato quello alla conservazione di luoghi che attraggono turismo proprio in virtù delle loro caratteristiche naturali. La legge riconosce la possibilità di soddisfare il primo ma sta agli uomini il compito di realizzarlo senza ledere il secondo.
In virtù di questo principio, quando nacque lo stabilimento balneare Itaparica, venne concordato che esso fosse realizzato con materiali naturali (legno) e con modalità esecutive tali da non incidere negativamente sui dossi sabbiosi.
Oggi sembra che l’opera edilizia in atto, sebbene munita delle debite autorizzazioni, sia realizzata senza tenere conto di questo limite, spingendosi fino a stravolgere il patrimonio naturalistico circostante (le dune in particolare) con il passaggio di ruspe e mezzi pesanti. Da tale fatto, censurabile senza se e senza ma, è nata la protesta e la conseguente denuncia di Legambiente, secondo cui la ditta Portosalvodue s.r.l. non avrebbe rispettato le prescrizioni previste dal D.R.S. n. 82 del 26/01/2007, con il quale l’Assessorato Territorio e Ambiente ha rilasciato il giudizio positivo (ma con prescrizioni appunto) di compatibilità ambientale per il progetto di realizzazione del centro turistico ricettivo.
Il punto, dunque, non è più se tale struttura poteva essere realizzata o meno (anche se io, nella posizione del legislatore regionale, avrei impedito una tale possibilità) ma come essa viene oggi eseguita, entro quali limiti, con quali strumenti e se nel rispetto dello stato preesistente dei luoghi.
Assistiamo ogni giorno ai prodigi della tecnologia. Apprendiamo ogni giorno dell’esistenza di soluzioni tecniche innovative capaci di coniugare le prospettive del progresso economico con le esigenze della eco-compatibilità. Ovviamente queste soluzioni implicano investimenti importanti, sicuramente più rilevanti di quelli necessari alle tradizionali tecniche costruttive ma, tant’è, io credo che chi vuole fare impresa in un determinato ambiente deve anche fare i conti con le caratteristiche dei luoghi stessi e con l’opposto interesse, altrettanto preminente, di conservazione e cura delle bellezze naturali e paesaggistiche.
Nel mezzo ci stanno le Istituzioni e gli uomini che ne stanno a capo, obbligati entrambi a vigilare affinché la soddisfazione dei rispettivi diritti avvenga senza ictus e senza prevaricazioni.
Premesso quindi che, a mio avviso non è necessario né indispensabile intervenire in qualsiasi luogo (in particolare dove esistono le dune) ritengo che, qualora si decida di agire sul territorio, occorre tenere conto che la collettività e le future generazioni sono portatrici di un interesse imprescindibile, quello della cura e della conservazione dei beni naturalistici, conciliabile attraverso una serie di corrette scelte esecutive e mediante una opportuna vigilanza da parte di chi rappresenta le Istituzioni.
Una pacifica convivenza di diversi scopi, capace di portare sviluppo economico attraverso la più corretta e adeguata valorizzazione delle caratteristiche del territorio, è possibile se noi tutti lo vogliamo.
Ma a questo punto mi chiedo: lo vogliamo davvero? Fino a che punto coloro che hanno l’obbligo di porre limiti e di farli rispettare hanno veramente intenzione di adempiere al loro compito, anche a costo di mettersi in contrasto con quella che può essere definita la più antiquata e stantia forma di impresa o, se volgiamo, contro quella quella che agli occhi degli investitori più innovativi potrebbe essere considerata una mera pseudo-impresa?
tutte le opere possono giustificarsi legalmente ai fini speculativi TUTTI, basta vedere come si giustifico ai suoi tempi la costruzione dei palazzoni del centro storico di Modica e non mi riferisco solo a quelli di corso Umberto. Ripeto TUTTI, il merito non è appunto la ” legalita” di tali autorizzazioni è la ” legalità ” usata ! Ma credo che ognuno ha una propria coscienza del territorio e io son fiero di non avere una mentalità di questi soggetti che hanno dato le autorizzazioni..poi ci sono UOMINI e uomini…ognuno sia fiero di quel che è…