Facendo un giro con la vecchia Fiat 500 dei nonni, io e mia moglie commentavamo come e quanto questa piccola utilitaria “alla portata di tutti” ha rivoluzionato la vita di milioni di italiani, creando uno stile di vita ed abitudini di cui anche noi, oggi, siamo quotidiani frequentatori.
Ovviamente la chiacchierata non poteva non cadere sul numero ormai esorbitante di autovetture che, ogni giorno, invadono le strade di Modica e, come vi potete immaginare, io e la mia gentile consorte abbiamo convenuto che l’originario sogno di libertà ed emancipazione, rappresentato dalla motorizzazione di massa, si è trasformato nella quotidiana prigione del traffico, nella costante lotta per un parcheggio, insomma nella causa prima di gastrite ed ulcera per tantissimi lavoratori e lavoratrici.
Ed anzi, non rischio di essere originale se affermo che l’autovettura non è più motivo di benessere ma un problema per tutte le città e per tutte le amministrazioni.
Da questo punto di vista Modica non fa eccezione ed anzi appare, a mio avviso, sensibilmente arretrata rispetto alla consapevolezza degli effetti negativi prodotti dall’uso smodato delle 4 ruote, se non altro perché (adesso mi attiro le antipatie di qualcuno) nella capitale della Contea regna quel fenomeno assolutamente unico delle “passeggiate” in auto, per ore ed ore, su e giù per il Corso Umberto, che contribuisce in modo disastroso sulla qualità generale dell’aria che respirano i nostri figli.
Basta andare il lunedì mattina, di mattina presto, al Pizzo per averne la prova: una vera e propria cappa di smog nero ristagna tra il Municipio e Piazza Corrado Rizzone e, credetemi sulla parola, posso affermare che anche da quella distanza si ha l’impressione di sentire l’olezzo del monossido di carbonio annidarsi fin dentro i più reconditi anfratti bronchiali.
Insomma, dobbiamo prendere atto che abbiamo un problema e che questo problema va affrontato e risolto.
Con questo non significa che dobbiamo fare scomparire le automobili da Modica né intendo avanzare l’idea di una pedonalizzazione massiccia del centro storico.
Ed infatti, pur non nascondendo che l’idea mi piacerebbe un sacco, non posso non ammettere che la totale esclusione del traffico veicolare dal Corso Umberto è impraticabile, almeno fino a quando non sarà realizzata una reale alternativa viaria.
Ed allora? Cosa fare?
Bene, per prima cosa bisognerebbe che la città si desse un obiettivo: diminuire il numero dei veicoli a motore circolanti nel centro storico.
Quindi, come si fa con una dieta, bisognerebbe conoscere i flussi, cioè i numeri dei mezzi circolanti ogni giorno per stabilire il punto di partenza. Quindi, si dovrebbe stabilire la meta: la percentuale di riduzione del traffico, in termini di mezzi in movimento, che vogliamo ottenere.
Fatto questo dobbiamo stabilire cosa fare e quali provvedimenti prendere.
Per prima cosa dobbiamo capire che il numero delle autovetture diminuisce quanto maggiore e qualitativamente più accattivante è la possibilità di adottare strumenti di mobilità alternativa. Nello stesso tempo occorre tenere presente che le autovetture non utilizzate non scompariranno per magia ma dovranno essere allocate senza intralcio e magari liberando un po’ di strade.
Ecco, allora, che si pone la necessità di agire su due fronti: il primo è quello di liberare spazi urbani inutilizzati per realizzare nodi diffusi di sosta a lunga permanenza, di modo da consentire ai cittadini la sistemazione delle loro autovetture senza l’incubo di abbonamenti, affitti, parcheggi su marciapiedi o sulle piazze.
Per ottenere un tale risultato occorre uno studio analitico della conformazione urbana del centro storico e stabilire i luoghi migliori dove realizzare le zone di parcheggio lungo.
Una volta fatto questo, occorre individuare gli strumenti di mobilità alternativa collettiva, come ad esempio gli autobus veloci, le scale mobili, gli ascensori.
Occorre fare un progetto di distribuzione di queste risorse strettamente connesso a quello dei nodi di parcheggio, perché sia l’uno che l’altro devono tenere conto della corretta ed equa distribuzione all’interno dei quartieri.
Per intenderci, se mi viene scomodo parcheggiare la macchina e recarmi presso i centri di mobilità alternativa, perché entrambi troppo lontani da casa, sarò indotto ad usare il mio mezzo privato.
A questo punto bisogna adattare gli strumenti urbanistici e farlo in tempi celeri.
Quindi, occorre trovare i finanziamenti necessari a realizzare le opere.
Tenete presente che ci vogliono molti, moltissimi soldini perché bisogna espropriare, demolire, realizzare i parcheggi, adeguare le strade di collegamento, costruire e/o ricostruire.
Solo dopo tutti questi passaggi avremo una città 3.0, capace di offrire un’alternativa all’uso dell’autovettura, sicuramente più a portata di uomo, molto confortevole per i turisti e più salubre per i cittadini.
Ora, a parte la capacità di chi amministra di realizzare i progetti, finanziarli, modificare gli strumenti urbanistici e realizzare il tutto, un’altra variabile, la più importante, rende incerto questo percorso: i modicani sono veramente disposti a scendere dall’auto?
Beh! Per rispondere a questa domanda sarebbe necessario fare un’analisi di psicologia sociale che richiederebbe, oltre che tanta conoscenza della materia, anche molto, molto tempo.
Per quel che mi riguarda, non ho né l’una né tanto meno l’altro, anche perché, sebbene oggi abbia avuto la fortuna di parcheggiare nell’androne del palazzo, purtroppo devo scappare per cambiare la park card!
A domenica prossima!