Femminicidio a Ragusa: Giuseppe Panascia, 75 anni, condannato all’ergastolo

La Corte di Assise di Siracusa, presidente Tiziana Carrubba, ha condannato all’ergastolo Giuseppe Panascia, 75 anni, per l’omicidio della ex moglie Maria Zarba. La pronuncia dopo alcune ore di camera di consiglio; serviranno sessanta giorni per il deposito delle motivazioni. Quello che è stato consideratro come un femminicidio, era stato commesso l’11 ottobre del 2018 in una abitazione del centro storico di Ragusa superiore. In serata, il nipote di Maria Zarba, che viveva con lei, era rientrato a casa dal lavoro e aveva trovato la nonna barbaramente uccisa. Le indagini contotte dalla Squadra mobile di Ragusa si erano indirizzate subito sull’ex marito e sui contrasti che avrebbe avuto con la donna, riferiti dai suoi famigliari. Poi la ricerca di riscontri e prove, in un processo in cui non è stata mai ritrovata l’arma del delitto, ma con indizi che avrebbero condotto tutti verso l’anziano ex marito. L’uomo era stato rinviato a giudizio il 23 ottobre dello scorso anno, con la prima udienza fissata per il 20 novembre. La pubblica accusa attraverso il om Francesco Riccio aveva definito inconfutabili le prove raccolte anche dalla Scientifica della polizia di Stato che aveva isolato sugli abiti di Panascia e nelle maglie del suo orologio, tracce di sangue da cui era stato estratto il dna completo vittima. L’avvocato di parte civile, Fabrizio Cavallo, aveva ripercorso anch’egli gli indizi ricordando che la sera prima dell’uccisione, Maria Zarba aveva scritto ad una delle figlie “papà oggi ha gli occhi di un diavolo”. Oggi, prima della sentenza, era stata la volta della difesa di Giuseppe Panascia che nella sua arringa, sostenuta dagli avvocati Enrico Platania e Irene Russo, ha cercato di smontare uno per uno quegli indizi che per l’accusa avevano inchiodato alle due responsabilità l’anziano ex marito. Hanno contestato l’orario della morte che potrebbe non essere compatibile con la presenza in casa di Panascia; la presenza di un altro ingresso, sul retro della abitazione, che era stato lasciato non chiuso a chiave e che sbocca in una via in cui non sono state trovate telecamere di videosorveglianza; i graffi al viso di Panascia ma sulla mani della vittima non sono stati trovate tracce dell’ex marito; e poi il sangue che non è “databile” e la cui presenza in “piccole macchioline”, sia sulla maglia che sul maglione indossato da Panascia, non sarebbero giustificabili in una scena del crimine che gli inquirenti definirono “impressionante”. L’ultimo punto toccato è stato quello del movente. Per i legali di Panascia, unico imputato nel processo, il fatto che la casa di famiglia sia stata assegnata in sede di seperazione alla ex moglie, non può essere un movente sufficiente dal momento che lo stesso aveva firmato una separazione consensuale che assegnava la casa alla donna con la quale comunque intratteneva rapporti quotidiani. Il giorno dell’assassinio di Maria Zarba, Giuseppe Panascia era andato a pranzare da lei. Prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio, Giuseppe Panascia ha voluto rilasciare spontanee dichiarazioni; una quarantina di minuti in cui ha affermato la sua innocenza, ridimensionato i contrasti in famiglia e di essere stato considerato a torto, colpevole fin dall’inizio. Poco dopo le 16,30, la lettura della sentenza. La Corte d’Assise ha condannato all’ergastolo Giuseppe Panascia stabilendo in un milione di euro complessivo – come richiesto dal legale di parte civile -, il risarcimento che verrà suddiviso tra i quattro figli che si sono costituiti contro il padre. Per l’anziano Panascia, anche interdizione perpetua dai pubblici uffici.

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