Ragusa, oggi, dovrebbe piangere, invece tristemente se ne fotte! Non ricorda, o fa finta di ricordare. Perchè ricordare, spesso, è scomodo. Quindi meglio dimenticare.
Ricorre oggi, infatti, l’anniversario dalla morte di Giovanni Spampinato (ucciso il 27 ottobre 1972). 43 anni sono passati e la Provincia di Ragusa dovrebbe ricordare Giovanni Spampinato come un eroe, un martire del racconto della verità.
Invece preferisce ancora oggi strisciare dietro i potenti, i poteri forti e la mafia.
Una Provincia dove la massoneria la fa da padrona e che commenta e liquida la tragica vicenda di Spampinato, quasi giustificando l’omicida, affermando “se l’è cercata”.
Io ricordo Giovanni, per me è un eroe!
A Giovanni Spampinato,
vero martire della “Provincia Babba”
Ragusa è una terra meravigliosa, per certi versi unica. Baciata dal sole e cullata dal mare. Le spiagge, con dorate dune, continuano ad essere il palcoscenico naturale della fortunata fiction Rai “Il Commissario Montalbano”. In quell’estremo lembo d’Italia sono nati Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo, Gesualdo Bufalino, il maestro Piero Guccione e anche Giovanni Spampinato, di professione giornalista, ucciso per aver scritto troppo a soli ventisei anni.
Giovanni veniva ucciso a Ragusa la sera del 27 ottobre del 1972.
Giovanni, brillante cronista corrispondente da Ragusa del quotidiano “L’Ora” di Palermo e de “l’Unità”, firmò le sue inchieste – inchieste che davano fastidio – nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Giovanni Spampinato aveva 26 anni e quella sera venne attirato in periferia da Roberto Cambria, figlio dell’allora presidente dei Tribunale di Ragusa. Cambria attirò in periferia Spampinato e lo uccise a revolverate. Subito dopo si costituì dicendo di avere agito in un impeto d’ira perché ingiustamente accusato da Spampinato in diversi articoli. L’omicida venne condannato a 14 anni di reclusione, ma ne scontò solo otto, in manicomio giudiziario.
Del suo lavoro Giovanni aveva un’idea altissima, generosa e nobile. Lui, Giovanni Spampinato, non si tirò indietro al ruolo di custode del racconto e del giornalismo imparziale e libero. Non scese mai a patti con la sua coscienza, ed assolveva al ruolo di raccontare ed informare la sua comunità, anche se ciò poteva costare caro.
Giovanni pagò con la sua vita il prezzo del proprio lavoro. Eppure ancora oggi, a distanza di 43 anni dalla sua morte, ci sono tanti aspetti poco chiari su questo omicidio. Giovanni è un martire dimenticato perché vergognosa, inoltre, è la mancanza di memoria della sua provincia, Ragusa, che non lo ricorda, o fa finta di ricordare. Perchè ricordare, spesso, è scomodo. Quindi meglio dimenticare.
Giovanni non arretrò nemmeno quando si trattò di pubblicare il nome di un trentenne intoccabile: quel Roberto Cambria, figlio dell’allora presidente del tribunale di Ragusa, che la sera del 27 ottobre 1972 lo freddò con sei colpi di pistola. Da quella tragica serata sono passati quarantatré anni, ma in quella terra c’è ancora chi sostiene che, in fondo, “Giovanni se l’è cercata”, magari quasi giustificando l’omicida, con il classico termine “poverino”. Non si può continuare a scambiare i carnefici per vittime. Bisogna ripristinarne la memoria. Lo si deve a Giovanni, alla sua famiglia e ad una intera collettività che merita di ricordare Giovanni come un eroe normale, da spiegare ai giovani perché possano avere proprio lui come modello positivo.
Ecco, Ragusa è anche questo, una città dove tutto è possibile. Una realtà, come si dice da queste parti, “babba”. Cioè stupida.
Stupidamente e maldestramente convinta dall’essere immune da qualsiasi forma di presenza mafiosa per il solo fatto di averne esorcizzato l’esistenza.
Ciò, nonostante tutto. Perché Giovanni vive…
Fino a quando anche una sola persona ricorderà, Giovanni sarà sempre tra noi.
#spampinatovive