Torniamo a parlare di “Invisibili”. Chi sono questi invisibili? Sono gli uomini e le donne che ogni giorno vivono in condizioni di totale disagio e sfruttamento; gente che pur lavorando faticosamente in infiniti impianti serricoli, riescono appena a sopravvivere alla fatica, alla fame e alle malattie. Li chiamano appunto “invisibili”, perché vivono in luoghi fatiscenti lontano da tutto e tutti, nell’invisibilità della dignità umana. Senza un luogo dignitoso dove dormire, ne servizi di primissima necessità, questa gente di altra nazionalità, soprattutto rumeni e tunisini, viene impiegata nella macchina del grande mercato agricolo provinciale.
Il grande mercato ortofrutticolo della città di Vittoria, infatti per anni è stato il fiore all’occhiello della nostra Provincia; ultimamente però ha perso l’eccellenza dei tempi passati innescando così gravi conseguenze. Oggi infatti troviamo un mercato dove piccoli imprenditori cercano a fatica di sopravvivere ed altri si destreggiano bene tra le tante estorsioni; questi ultimi infatti, dalle recenti indagini condotte dalla Polizia di Stato, per non essere “disturbati” dagli strozzini, spontaneamente consegnavano il “pizzo” restando in pace e continuando a sopravvivere.
Molti imprenditori quindi cercano di arginare qualunque problema iniziando da un abbattimento repentino soprattutto sui costi di manodopera. Infatti l’impiego di manovalanza straniera “risponde” a qualunque problema e frutta molto di più: salario al netto di gran lunga al di sotto di ogni soglia prevista a norma di legge, orari di lavoro nettamente superiori, contratti di lavoro inesistenti, condizioni igienico sanitario ai limiti della dignità, alloggi concessi per molti addirittura fatiscenti. Alcuni dei tanti imprenditori e/o caporali cercano di rendere ancor più “fruttifero” la condizione aggiungendo ad uno sfruttamento lavorativo anche uno “sfruttamento sessuale consenziente” del lavoratore, soprattutto di sesso femminile, a garanzia di una duratura occupazione presso l’azienda; per altri anche un giro di prostituzione, sfruttamento del lavoro minorile e gestione di commissioni extra ( trasporto in città, trasporto per l’acquisto di pane e derrate, ricariche telefoniche: tutte commissioni sotto pagamento extra o detratte dal netto del salario). A tal proposito quindi il datore di lavoro e/o il caporale “detiene un codice di diritti e doveri” a cui questi lavoratori sono sottoposti, a loro malgrado, ad eseguire anche senza la propria volontà, spinti dal forte desiderio di “lavoro”.
Qualcuno potrebbe chiedersi: perché allora non cercare un lavoro migliore? Molte di queste persone “scelgono” tale impiego perché l’unica “condizione positiva” è quella di stare vicino alla propria famiglia senza ch’essa venga smembrata, con la possibilità, soprattutto per le donne, di avere i propri figli, anche i più piccoli, vicino e con se sul posto di lavoro. Questa scelta però per queste persone comporta, appunto, dover sottostare al “codice di diritti e doveri” che il datore di lavoro e/o il caporale detiene con forza e minacce.
Oggigiorno la fascia trasformata di Marina di Acate risulta essere luogo straordinario quanto “maledetto”; un tempo meta ambita di villeggiatura, negli ultimi anni una terra di immensa tristezza e desolazione quanto di grande sudore che a fatica riesce ad avere voce.
Rabbia, sdegno e profonda tristezza per queste tante genti che vivono tra quelle infinite strade senza confine né proprietà, disseminate da impianti serricoli allocati nella fascia trasformata.
Altro grave problema, che si aggiunge, è anche quello ambientale. Tassello indispensabile ad un abbattimento di costi di produzione, sarebbe il largo utilizzo di sostanze chimiche come pesticidi ed insetticidi banditi dalla legge italiana. Infatti questi prodotti chimici sono stati da tempo proibiti perché nocivi sia all’uomo che all’ambiente stesso. Molti operai, essendo costretti ad utilizzarli sotto intimidazione del datore di lavoro, riportano gravi lesioni fisiche, come ustioni, sia agli arti che alle vie respiratorie. A tutto ciò si aggiunge uno smaltimento non a norma di legge di tutti quei rifiuti decretati “speciali” in largo uso in ambito agricolo che aggravano sulla salubrità sia delle persone che lavorano e vivono in questo territorio, sia sull’ambiente.
Le tante colonne di fumo nere che si vedono liberare e propagare nell’aria, le famose “ fumarole”, le quali in ogni periodo dell’anno vediamo sempre spesso e continuo, sono proprio il risultato di un “ diverso smaltimento” di rifiuti speciali. Negli ultimi anni, infatti, le indagini delle Forze dell’Ordine hanno portato alla chiusura di alcune delle diverse aziende che operano nel settore per eco- reati ambientali; operato che poco ancora riesce ad arginare il problema.
Naturalmente esprimere attraverso parole l’esperienza vissuta a contratto con questa gente, penso sia estremamente difficile. È proprio per questo che silenzi non devono continuano a persistere su Marina di Acate e sulla loro gente, gli “invisibili” devo avere la loro visibilità.
Non dimentichiamo, che ciò nonostante il problema sia largamente diffuso, lodevole invece è il lavoro di quelle poche o addirittura pochissime aziende agricole che sopravvivono nel rispetto della persona che della legge, nonostante la crisi economica degli ultimi tempi li abbia messi in ginocchio. È proprio a queste aziende che si deve giustamente guardare come modello per ricostruire, tassello dopo tassello, l’economia di questo territorio.
Veronica Falcone