In un precedente articolo (LEGGI), del 28 agosto scorso, abbiamo riferito come dagli atti della Commissione Antimafia sia emerso che un magistrato, originario di questa terra, presentò al presidente della regione Lazio un tale, di nome Italo Ialongo, che era buon amico e consulente di Frank Coppola. Il consulente del boss italo-americano aveva il compito di rappresentare il desiderio di Natale Rimi, rampollo di una notissima famiglia mafiosa, di essere trasferito a Roma presso gli uffici della regione. Come è noto quel desiderio fu esaudito e la città di Roma si arricchì di un nuovo elemento di spicco della mafia siciliana. E siccome in quegli anni i desideri dei boss venivano esauditi, vogliamo raccontare un’altra storia, che potremmo intitolare “ hotel contrada Pendente”.
Il padre e un fratello di Natale Rimi, ergastolani di peso, per un certo periodo furono reclusi entrambi a Perugia nonostante evidenti ed ovvie ragioni, di opportunità e prassi della amministrazione penitenziaria, imponevano di tenere distanti i detenuti imparentati fra loro . Ma il papà Vincenzo e il figlio Filippo erano uomini d’onore e potevano contare, come l’altro congiunto Natale, sulle amicizie giuste per esaudire il loro desiderio.
Il primo passo fu quello di sensibilizzare il Ministero di Grazia e Giustizia e così dagli uffici del sottosegretario parte il 9 aprile 1969 la prima nota, rivolta al direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, dai toni inequivocabili. “ Vengono rivolte vive premure perché i detenuti Vincenzo e Filippo Rimi, rispettivamente padre e figlio, non siano separati…..Si prega esaminare con favorevole intendimento la possibilità di accogliere la richiesta, fornendo cortesi, urgenti notizie in merito “.
Ha inizio così l’incredibile storia di un ergastolano che pretese di poter condizionare la scelta della sede della propria detenzione e addirittura di poter scontare la pena insieme al figlio detenuto anch’egli. In sintesi la complessa strategia prevedeva che il vecchio Rimi venisse riconosciuto minorato fisico e come tale trasferito in Sicilia, per consentire più frequenti e agevoli visite dei familiari, e successivamente poter essere raggiunto dal figlio Filippo nel medesimo carcere. Esaminando la successione temporale degli atti amministrativi relativi alla vicenda (lettere, note, telegrammi, relazioni di servizio, ecc.) si ha le netta sensazione che una buona parte della struttura ministeriale era impegnata a seguire quella “pratica”.
Il 7maggio del 1969, vale a dire otto giorni dopo la nota degli uffici del sottosegretario, una nota del Ministero, firmata d’ordine del Ministro, chiede alla direzione del carcere di Perugia apposite relazioni , il giorno 13maggio il direttore generale delle carceri si premura di assicurare del proprio impegno la segreteria del sottosegretario on. Renato dell’Andro. Il 13 giugno in un telegramma anche il Ministro Gava sollecita la direzione del carcere di Perugia a voler produrre la documentazione richiesta . E così il 16 luglio il ministero dispone il trasferimento provvisorio a scopo sanitario, limitatamente a sei mesi, del patriarca Vincenzo Rimi presso il carcere di Ragusa nella sezione “minorati fisici” . Il figlio destinato, invece, al carcere di Noto . Si potrebbe affermare che raramente in Italia la burocrazia ha dato simili esempi di efficienza e rapidità !
L’estate trascorre tranquilla, i funzionari ministeriali e le segreterie politiche vanno in vacanza, e la famiglia Rimi vede realizzata la prima fase del proprio progetto.
Ad ottobre il solito solerte capo della segreteria dell’on dell’Andro, Salvatore Tigano, torna a sollecitare il direttore generale delle carceri affiche i due Rimi condividano il medesimo carcere. Ovviamente il direttore risponde che non è possibile , a norma del regolamento penitenziario, aderire al desiderio dei due reclusi. Passano i mesi , il regime di “detenzione sanitaria assistita” per Vincenzo Rimi è scaduta, e il sanitario del carcere di Ragusa , dott. Carmelo Mauro, con una apposita certificazione propone che il Rimi “venga considerato minorato fisico per altri sei mesi”. Com’era prevedibile il ministero approva.
Però il progetto originario della famiglia Rimi era di poter avere padre e figlio nello stesso carcere nonostante le norme non lo consentissero. Ed ecco che giunge in soccorso “ il principio della deroga in via eccezionale” . Il figlio Filippo, formalmente detenuto in altro carcere, chiede l’autorizzazione a poter incontrare il padre considerate le “precarie” condizioni del genitore . Il colloquio si prolunga….. per giorni e giorni e poi per settimane e poi per mesi. Insomma la legge viene platealmente aggirata. Il 27 giugno 1970 il capo della segreteria del sottosegretario alla giustizia (volutamente scriviamo in minuscolo) senza alcun ritegno scrive alla direzione generale delle carceri “…. attualmente sono autorizzati a rimanere in Ragusa fino al 21 giugno u.s.- L’on. sottosegretario gradirebbe che l’autorizzazione fosse prorogata almeno di altri due mesi……”
Dal canto suo il 5 ottobre il direttore superiore dott. Carmelo Mauro chiede che il patriarca venga dichiarato minorato fisico per altri sei mesi.. Il successivo 10 aprile il dott. Mauro chiede per il Rimi un’altra proroga per i successivi sei mesi . Ad ogni richiesta del sanitario il ministero con puntuale rapidità approva.
Finché il 27 maggio del 1971 dal Ministero dell’Interno parte una lettera “riservata” per il Ministero di Grazia e Giustizia che testualmente recita : “….Si è così appurato che i due Rimi, rispettivamente padre e figlio, malgrado l’uno figurasse a Ragusa e l’altro a Noto, avevano trascorso insieme oltre un anno di detenzione nel carcere di Ragusa….Infatti il Rimi Filippo, trovandosi detenuto a Noto, aveva chiesto e ottenuto da codesto Ministero un colloquio con il padre, rinchiuso nel carcere di Ragusa, nel quale una volta giunto era rimasto per oltre 13 mesi. Lo stesso Rimi Filippo risulta essere stato trasferito, il 25.3.71, alle carceri di Messina, all’evidente scopo di ottenere la dichiarazione di minorato, per poi essere assegnato a Ragusa nella stessa ”sezione” del padre. La vicenda ha suscitato viva perplessità da parte di questo Dicastero, tenuto conto che, trattandosi di individui mafiosi pericolosissimi e tutt’ora capaci di organizzare qualsiasi attività illecita, anche dal carcere, sarebbe stato più opportuno evitare che essi si incontrassero. Pertanto, si prega vivamente codesto Ministero di disporre che i due ergastolani in argomento siano destinati definitivamente in differenti stabilimenti di pena, quanto più possibile lontani dalla Sicilia, allo scopo di non consentire che essi possano continuare a mantenere collegamenti con l’ambiente locale, in cui godono ancora di moltissimo ascendente.
Ovviamente la nota del Ministero degli Interni, svelava un intreccio di complicità, disattenzioni e sciatterie a vari livelli. Il 12 giugno con una nuova “riservata urgente” il Ministero Interni evidenzia che i due ergastolani sono ancora insieme a Ragusa e sollecita il loro trasferimento “ al più presto fuori della Sicilia e in due stabilimenti diversi”. Dopo quell’ulteriore sollecito finalmente Filippo Rimi lasciò “ l’hotel contrada Pendente” per essere trasferito al penitenziario di Porto Azzurro. Per quanto riguardava il capo della famiglia, Vincenzo, la procedura si rivelò più complessa. Infatti quando giunse quella nota (diciamo pure di aperto disappunto) del Ministero dell’Interno il vecchio Rimi poteva contare su una nuova relazione del dott. Mauro, che certificava le sue infermità per i successivi sei mesi, regolarmente approvata dagli organi superiori. In mezzo a quella baraonda il ministero di Grazia e Giustizia vuole manifestare la propria solerzia e chiede alla direzione del carcere di Ragusa una ennesima relazione per accertale se il patriarca è trasportabile in altro luogo. Il 15 giugno il direttore Mauro trasmette una corposa documentazione sanitaria e una relazione del dott. Giuseppe Schembari che si conclude : “ in atto il detenuto non è trasportabile”. (documentazione allegata alla relazione conclusiva della Commissione, volume quarto, tomo ventiquattresimo, pagina 159). A quel punto il Ministero decide di inviare a Ragusa l’Ispettore Generale Sanitario e un Consigliere Ministeriale per una visita suppletiva.
I due ispettori ministeriali il 14 e 15 luglio 1971 eseguono accurati accertamenti, allegando una corposa e dettagliata relazione, e giungono alla conclusione che Vincenzo Rimi “ è trasportabile ad altro istituto”. ( da pagina169 a 179 del volume sopra indicato).
Alla fine di luglio Vincenzo Rimi lasciò, finalmente, Ragusa per essere trasferito a Fossombrone.
In conclusione possiamo affermare che nelle stesse settimane in cui Natale Rimi progettava e realizzava il proprio trasferimento alle dipendenze della regione Lazio per rafforzare la “colonna romana” della mafia, nel carcere di Ragusa il padre e il fratello pianificavano, indisturbati, gli affari della famiglia. Purtroppo in questa vicenda ci mancano (perché non siamo riusciti a reperirli presso l’Antimafia) gli elenchi delle persone che incontrarono i Rimi durante la loro permanenza nel carcere di Ragusa. La conoscenza di quegli elenchi potrebbero svelare forse nuovi aspetti di quella ancora oscura vicenda.
Gianfranco Motta