I cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti.
Queste strutture si dividono in: centri di primo soccorso ed accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie).
Centri di primo soccorso ed accoglienza (Cpsa)
Ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. In questi centri i migranti ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale. Successivamente, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri.
Questi i centri (Cpsa) sul territorio:
Agrigento, Lampedusa – (Centro di primo soccorso e accoglienza)
Cagliari, Elmas – (Centro di primo soccorso e accoglienza, con funzioni di Cara)
Lecce – Otranto (Centro di primissima accoglienza)
Ragusa, Pozzallo (Centro di primo soccorso e accoglienza)
Centri di accoglienza (Cda) e i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara)
I centri di accoglienza (Cda) garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione ed all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia. Lo straniero irregolare che richiede la protezione internazionale viene invece inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), per l’identificazione e l’avvio delle procedure relative alla protezione internazionale.
I centri (Cda e Cara) sul territorio sono presenti in Friuli-Venezia Giulia, nel Lazio, nelle Marche, in Puglia, in Calabria, in Sicilia ed in Sardegna.
Centri di identificazione ed espulsione (Cie)
Gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti ,sono trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione (Cie), istituiti per evitare la dispersione sul territorio di chi è in via di espulsione e consentire l’esecuzione del relativo provvedimento da parte delle Forze dell’ordine. Il tempo di permanenza (18 mesi al massimo) è funzionale alle procedure di identificazione e a quelle successive di espulsione e rimpatrio.
I centri di identificazione ed espulsione sono:Torino,Roma,Bari,Trapani e Caltanissetta
I dati sopra riportati sono aggiornati al mese di luglio 2015.
Ma come si vive in un centro di accoglienza per richiedenti asilo ?
In alcuni centri sono state documentate pessime condizioni igieniche ed un diffuso sistema di criminalità, fra sfruttamento della prostituzione e del lavoro e contrabbando di vari beni. La Puglia, una delle Regioni più coinvolte e messe in difficoltà dagli sbarchi dei migranti dal Nord Africa, ospita decine di centri di accoglienza – alcuni in precarie condizioni da molti anni – oltre a diversi “ghetti” in cui vivono i migranti usciti dal sistema di accoglienza e costretti a lavorare in nero come braccianti per sopravvivere.
E poi c’è il problema dello sfruttamento, della prostituzione e del lavoro: nel CARA è attivo un giro di prostituzione gestito da nigeriani che coinvolge ragazze appena maggiorenni. Moltissimi ospiti poi lavorano nei campi della zona come bracciati in nero: lavorano dalla mattina presto fino alla sera tardi .
La Puglia ha da tempo due grossi problemi relativi all’immigrazione: la scarsità di strutture che fanno accoglienza e lo sfruttamento dei migranti nei cosiddetti “ghetti”, cioè baraccopoli dove vivono migranti irregolari che lavorano come braccianti nei campi coltivati. Il sistema di accoglienza pugliese è costantemente sotto sforzo, e la situazione è peggiorata da quando ha aperto lo hotspot di Taranto.
Lo hotspot, sulla carta, è un centro per esaminare tutti i migranti che arrivano in Italia e fare una prima scrematura fra quelli che vogliono chiedere asilo, quelli che hanno diritto ad entrare in un programma di relocation (cioè il fallimentare programma di ricollocamento dei migranti da Italia e Grecia in altri Paesi dell’Unione Europea sulla base di quote), e quelli che non vogliono fare richiesta di asilo. In Italia sono attivi quattro hotspot: a Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto. La presenza di uno hotspot aumenta il carico di sforzi per i centri di accoglienza della zona: periodicamente lo hotspot deve essere “svuotato” per far fronte ai nuovi arrivi, ed in quel caso la Prefettura si limita a smistare gli ospiti dello hotspot nei centri più vicini.
In molti, soprattutto in Puglia, finiscono nei “ghetti”. Il più famoso di questi campi si trova a Rignano Garganico, in Provincia di Foggia. È attivo da molti anni, ci sono passate migliaia di persone e negli ultimi mesi è sopravvissuto ad un grave incendio.
Quanto spende l’Italia per quella che impropriamente viene definita emergenza immigrati? E’ un vero salasso! Spesi 5 miliardi in soli due anni.
Ma se questa spesa assolvesse a quel ruolo di accoglienza al quale nessun Paese civile e democratico può e deve sottrarsi, credo che ci sarebbe poco o nulla da eccepire.
Il guaio è che l’accoglienza degli immigrati per molti è diventato un business gestito senza alcuno scrupolo e che paghiamo tutti noi grazie ad apparati dello Stato che fingono di non vedere quanto marcio si annidi in alcune organizzazioni appositamente create con la connivenza di coloro che dovrebbero garantire l’osservanza delle leggi in materia attraverso controlli che spesso non ci sono nemmeno in presenza di precise denunce.
Ciò è intollerabile, chi di dovere si attivi finalmente per evitare che alcuni soggetti si arricchiscano sulla pelle di disgraziati trattati come schiavi per l’ignavia di uomini dello Stato.
Si dimostri che il nostro Paese riesce a perseguire i furbi e gli arrivisti perché è insopportabile che tutti gli italiani paghino le malefatte di qualche migliaio di truffaldini.
Anche perché nessuno può illudersi che il fenomeno dell’immigrazione clandestina abbia soluzioni nel breve periodo; tutto lascia presagire, alla luce di quanto avviene in alcune parti del mondo, che ci vorranno alcuni decenni e politiche europee di buonsenso affinchè l’immigrazione possa essere regolamentata.