“I fratelli Karamazov”, l’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij

Dopo aver finito di leggere I fratelli Karamazov mi è successa una cosa strana: non sono riuscita a decidermi su cosa leggere dopo (ancora adesso, a distanza di 24 ore dalla fine, non lo so!), ho provato un senso di smarrimento, una fortissima sindrome dell’abbandono, un rifiuto fisiologico non voluto verso qualsiasi altra cosa scritta.
Il riempimento è stato tanto e tale da farmi raggiungere una sorta di apice, di condizione massimale da lettrice, che ha reso impossibile, o forse sarebbe meglio dire indegna, qualsiasi altra nuova scelta di lettura.

Non mi era mai successo, di solito scelgo con entusiasmo cosa leggere già allo scadere del libro di turno, ma questa volta il mio pensiero si è bloccato sulla parola “fine” del romanzo e si è rifiutato di voler pensare ad altro, come se quest’altro non fosse nemmeno esistente.

Credo che ciò sia da legare al fatto che è stata una lettura ASSOLUTA e con ciò intendo dire che I fratelli Karamazov è TUTTO, contiene più o meno tutto. L’appagamento è troppo.
È un romanzo lunghissimo, più di mille pagine che tradotto in percentuale sul Kindle vuol dire un avanzamento sulla barra lentissimo; leggevo per ore e l’aumento era al massimo del 2%!
Il fatto che sia così lungo è, ad ogni modo, una fortuna perché non puoi saper scrivere e intrattenere il lettore così dannatamente bene per poi abbandonarlo rapidamente. Dostoevskij è un meraviglioso temporeggiatore e non ha mai fretta.

I fratelli Karamazov è anche un romanzo corposo e carico di pathos, una vicenda famigliare dalla psicologia così affilata da far male. La lista di “è anche” è praticamente infinita; si farebbe prima a dire cosa non è.

Tracciando uno schema molto sintetico del romanzo si può dire così: un padre vizioso, egoista, avaro e moralmente disgustoso. I suoi tre figli: il puro e religioso Alesa, il passionale e folle Dimitrji e l’ateo intellettuale Ivan. Un figliastro, vero o presunto, abbastanza inquietante, Smerdjakov.
Due donne contese, le solite capricciose e umorali donne dostoevskijane.
Un omicidio. Un processo. Una fine.

L’essenza karamazoviana, che si riassume in “sensualità, cupidigia e follia”, è il motore suggestivo di questa lunga storia, di queste vite umane, l’origine e la fine di tutto.
I Karamazov sono un tantino estremi nelle loro scelte, azioni e reazioni e io li ho amati o odiati follemente, senza rimanere mai tiepida o cautamente indifferente.
D’altronde se si ha un cuore e impossibile non sentirlo palpitare all’unisono con quello del romanzo.

Il resto, come dicevo, si può inserire nella categoria del TUTTO.

Tutto è passione, nell’odio, nell’amore, nella cattiveria, nella bontà, nella fede, nella miscredenza, tutto è declinato in chiave sanguigna ed è spinto vorticosamente da forze ataviche.
Tutto è straordinariamente umano, un vibrare continuo di corde umane nella loro essenza più nobile e più animalesca, più elevata e più istintuale. Non c’è mai quiete emotiva.
Tutto è ideologia, filosofia, pensiero, riflessione sociale, ma tutto è anche squisito romanzo, a tratti perfino giallo.

Molti sostengono sia un mattone di cemento armato russo e che, soprattutto in certe punti, sia difficile o insostenibile; persino Tolstoj non riuscì a finirlo la prima volta che lo lesse!

Per quel che mi riguarda e in totale sincerità smentisco tutto: giuro solennemente di non averlo trovato mai, nemmeno per un attimo, pesante, e che la sera dovevo impormi un limite orario obbligato per non leggerlo ad oltranza.

Ho trovato molto più difficile la lettura de L’idiota, che mi ha spesso tramortito.

L’unica cosa DAVVERO DIFFICILE de I fratelli Karamazov è scrollarseli di dosso, spostarli dalla propria mente e dalla loro condizione viva e pulsante per relegarli in qualche sbiadito cassetto della memoria. Un cassetto in cui non si fanno chiudere facilmente e che credo rimarrà sempre aperto e rumoroso.

http://margherita-nulladipreciso.blogspot.it/

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