Impossibile sintetizzare la storia di A.I.F.F.A.S di Vittoria in una sola pagina. Sarebbe troppo riduttivo racchiudere in un articolo vent’anni. Vent’anni -oggi- di vita fondata da genitori di ragazzi soggetti a disabilità spinti dall’assenza istituzionale e sociale ma incoraggiati dalla forza di volontà e di riscatto. Un vissuto di progettualità accompagnato da sacrifici immensi con lo scopo di raggiungere gli obiettivi grazie all’esperienza in crescita giorno dopo giorno. Una grande famiglia è l’A.I.F.F.A.S. di Vittoria.
Mi accolgono due donne incredibili assieme all’affetto dei loro straordinari ragazzi: Cettina Malignaggi e Rosanna Meli.
Cettina cosa ti lascia questa lunga esperienza?
Cosa mi lascia? Cosa continua a darmi: emozioni indescrivibili.
Una vita dedicata alla disabilità a 360 gradi…
E si, una vita in cui i ragazzi normodotati hanno assunto diverse nomenclature nel corso di questi anni. Prima persone handicappate poi diversamente abili ora persone con disabilità. E si sottovalutano le tipologie di disabilità: quelle fisiche, sensoriali, mentali e psichiche.
Disabilità e dignità rappresentano l’identità principale della persona nel contesto umano in cui vive e allora quando la diversa abilità diviene handicap?
Quando incontra gli ostacoli frapposti dalla società alla libera espressione del normodotato. Un tempo si parlava di integrazione ora si chiama “inclusione” ma sostanzialmente è sempre lo stesso concetto: un percorso che serve a dare dignità ai nostri ragazzi come diritto alla vita.
E’ questo dunque uno degli obiettivi che vi siete prefissati tu e l’altra mamma coraggio Rosanna…
Si, in effetti è quello di promuovere la cultura dell’accettazione delle diversità sensibilizzando la coscienza sociale verso la disabilità.
In associazione avete svolto moltissime attività basilari per lo sviluppo psicofisico dei ragazzi: lo sviluppo delle autonomie personali, potenziamento abilità linguistico-cognitive, sostegno scolastico, laboratori di ceramica, grafo-pittoriche e di musicoterapia, attività motorie (idroterapia, ippoterapia), sostegno alle famiglie…
Si, abbiamo costruito moltissimo. Ci siamo sottoposti a dure prove. Sempre da soli, abbiamo lottato, sperimentato, inventato. Grazie al privato abbiamo costruito le nostre speranze. Le speranze di noi operatori di equipe e le speranze dei nostri ragazzi. Non finirò mai di dire la diversità con dignità!!!
Ora la voce di una donna dal coraggio indescrivibile. Una mamma che ha dato vita all’A.I. F.F.A.S. spinta dalla carica emotiva di un grande amore: quello materno. Stiamo parlando di Rosanna Meli mamma di due gemelli normodotati di 29 anni, Salvo e Giovanni.
Cos’è l’associazione per Rosanna Meli?
Il centro è un dare, perché è dando che si riceve. Ed è questo il nostro motto.
Qual è la forza di Rosanna?
I miei figli sono la mia forza. Non me lo sono mai chiesto perché proprio a me. Dovevo solo aiutarli e andare avanti. Come potrei vivere senza di loro? Un solo pomeriggio fuori dal centro e senza i miei figli è disarmante per me. Se io non avessi avuto loro, la mia vita come sarebbe stata?
Qual è stata la molla scatenante tale da creare il centro?
Ho realizzato che i gemelli sarebbero stati in grado di fare tutto accompagnati. Ho pensato a loro nella normalità e nelle potenzialità che avrei scoperto. Ho girato molte cliniche e molti medici mi dicevano che i miei figli non avrebbero mai camminato, parlato. Non ho mai chiesto come finirà.. a volte i dottori sono cattivi, freddi. Mi aspettavo dai neuropsichiatri una parola in più, un po’ di incoraggiamento. Nulla di ciò, così è subentrata in me la non rassegnazione e guardando negli occhi i miei figli ho visto in loro delle potenzialità da fare emergere e in questo modo non mi sono voluta arrendere. Salvo e Giovanni camminano, parlano, viaggiano, fanno sport…qui hanno trovato “l’università”, una dimensione che è la vita!
Il centro è nato per rabbia e per scommessa. La scommessa della mia vita. Più mi dicevano che non ce l’avrei fatta, più mi accanivo con grande forza di volontà. Un neuropsichiatra mi definì un “uccello migratore” 23 anni fa mentre mi trovavo a Porto Potenza Picena per fare riabilitazione e lì mi innamorai di un centro per disabili e pensai tra me: perché non farlo a Vittoria? Divenne il mio chiodo fisso e riuscì a realizzarlo insieme a molte famiglie, operatori e grazie all’assessore di allora, Peppe Cannella persona sensibilissima che credette al progetto e alla mia figura anche se non ero presidente. Lo diventai un anno dopo. Non sono molto credente ma queste qualità non sapevo di possederle. Forse, sarà stata la forza della disperazione a farmi una corazza e trovare delle soluzioni e tuttora quando non vedo una via d’uscita, rifletto e dico fra me e me: “va be, troverò una soluzione”. E la soluzione arriva. La forza che proviene dai miei figli e dai miei angeli custodi è indescrivibile: mia figlia Ilenia, mio marito, mia sorella e la fortuna di essere circondata da belle persone. E tanta, tanta umiltà.
Così la tenacia di Rosanna si concretizzò insieme ai sacrifici, lotte per gli insegnanti di sostegno e studio intenso…
Ho studiato giorno e notte e pensare che, prima ero una semplice sarta ma la volontà è stata talmente forte da prendere il sopravvento e reagire all’indifferenza delle istituzioni. Mi abbonai alla Gazzetta Ufficiale e così mi documentavo. Ricordo un particolare era il 1996. Quell’anno non avevo i soldi per pagare gli operatori. Mi inventai la prima mostra di ceramica per natale, per raccogliere fondi. La notte andammo a Caltagirone a raccogliere gli scarti di ceramica. Li riparammo, così inventando questo tipo di lavoro grazie alla creatività abbiamo raccolto 2 milioni e con quei soldi pagai gli acconti agli operatori. Questi lavori ci hanno permesso il primo stipendio. Una vittoria incredibile perché mi ero circondata di persone che hanno creduto in me e in questo modo si concretizzava la mia autostima e un’opportunità per i ragazzi: uscire fuori dal ghetto, esplorare, apprendere e diventare maestri d’arte lavorando la ceramica, plasmando e attraverso la manipolazione capire l’importanza del lavoro per vivere. E’ questa l’attività marginale con cui riusciamo a sopravvivere.
E le istituzioni?
Non ci sono mai state se non per farti sentire più sola. Mi ricordo la frase terribile di un’insegnante sui miei figli. Una frase che mi ha ferita. Mi sono ripresa i bambini e una ragazza mi disse: “Non ti abbattere, faremo un esposto.” Lo feci e le lotte continuarono e continuano ancora.
A.I.F.F.A.S vive e continua…