“I migranti, carcasse umane nell’inferno della Libia”

Bastava solo incrociare gli occhi dei parenti dei migranti morti lo scorso 30 settembre. Bastava poco, un attimo, per leggere sofferenza, dolore. Il silenzio effettivamente era la cosa più giusta durante i funerali al cimitero di Scicli. Pensavo che quei corpi abbandonati, per più di due ore, al sole sulla spiaggia non avevano nessuno che li aspettasse, che li piangesse, che li cercasse. Invece mi sbagliavo.
Il silenzio durante le esequie è stato rotto da un pianto e dalle grida di una donna che in eritreo diceva: “Dio perché hai fatto questo…perché succede questo”. La giovane si è lasciata cadere su una delle bare senza nomi, coperte con un drappo rosso porpora ed un giglio bianco.
Era la sorella di uno degli sfortunati immigrati morti. Uno dei sette immigrati su tredici identificati.
L’affetto, la rabbia, il dolore, la sofferenza, l’incapacità di arrendersi davanti a questa fine così vile, tormenta e rende impotenti. Struggente il racconto del prete cristiano eritreo Keflemariam Asghedem che ha chiesto accoglienza per i suoi fratelli. Il prete ha aperto un mondo sulla tratta degli schiavi, dei migranti. “Non sapete quale calvario vivono i miei fratelli in Africa. Per mesi venduti, come schiavi, come oggetti, da un mercante a un altro, arrivano il Libia attraverso il deserto. E’ qui il vero inferno, dove ragazzi col mitra in mano li minacciano, li pestano, li violentano”. E’ l’atto d’accusa del prete, in Italia da novembre e in servizio a Catania dall’inizio dell’anno, che con le lacrime agli occhi ha denunciato queste atrocità. “Il vero inferno è la Libia – aggiunge il prete eritreo – perché non c’è alcuna condizione di vivibilità. Tutti sanno com’è la situazione e sarebbe il caso di andare a prenderli sino a lì per salvarli. Sono chiusi in campi lager e aspettano di essere messi su un barcone per attraversare il Mediterraneo. A chi non parte e resta vittima della violenza dei libici a volte vengono espiantati pure gli organi. Sono carcasse umane vendute in Europa”.
Sono arrivati dalla Germania e dalla Svezia per partecipare ai funerali dei familiari morti nel tragico sbarco di Sampieri del 30 settembre scorso e da martedì scorso chiedono con forza la restituzione delle salme. I parenti dei migranti morti non hanno alcuna intenzione di lasciare Scicli sino a quando non avranno la certezza che la salma del proprio congiunto possa fare rientro in Eritrea. Meohane Gimeskli è arrivato da Amburgo per partecipare ai funerali del nipote Andemesk Fishasion di 23 anni, sottoponendosi all’incombenza del riconoscimento, ma ora chiede la restituzione della salma. “Il governo eritreo – dice Meohane Gimeskli – è pronto ad assumersi l’onere del trasferimento della salma ad Asmara, non capisco perché le Autorità italiane non diano il permesso. Io non mi muoverò da qui sino a quando non avrò la certezza che mio nipote sarà seppellito in patria. I suoi genitori aspettano da giorni all’aeroporto l’arrivo della salma”. Sono quattro i musulmani deceduti e secondo la loro religione devono essere seppelliti dove sono caduti, nel cimitero musulmano di Ragusa Ibla. Quei corpi, mi sento di dire, sono quelli dei nostri fratelli. Capisco che la famiglia vuole le salme dei propri cari in Patria ma non credo sia quello che loro avrebbero voluto. Sono scappati da quell’inferno per non tornarci più e non ci sarebbero tornati neanche con le loro gambe. La provincia di Ragusa, tuttavia, è stata ampiamente solidale mettendo a disposizione i loculi dei cimiteri di Modica e Scicli.

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