I settant’anni della Taverna Nicastro

Chi credeva che questa festa avrebbe assunto i toni della celebrazione si sbagliava di grosso, perché evidentemente non conosce bene lo spirito di Modica Alta e dei suoi abitanti.

I settant’anni della Taverna Nicastro, infatti, sono la festa semplice e spontanea di un’esperienza, non solo commerciale, che affonda le sue radici nel DNA stesso del più bel quartiere della città.

L’assenza  del primo cittadino, surrogato quasi in trasparenza dall’assessore Linguanti, è stata notata da pochissimi, cioè da coloro che si occupano, per un motivo o per un altro, delle cose della  politica. Per il resto la ricorrenza viene consumata nello stile esatto dei “susari”: buon vino, ottimo cibo e tanta allegria.

Una band intona canzoni siciliane ed esegue tarantelle: Giovanni e Salvatore conquistano la scena improvvisando un ballo, mentre il sorriso della “Nicastra”, seduta ad un’angolo poco distante, esprime chiaramente tutta la gioia di una madre soddisfatta per la felicità dei figli e dei nipoti.

Ci sono gli amici più stretti, tra i quali l’immancabile Franco Di Martino, ma anche personaggi “istituzione” di Modica Alta, come il mitico Giovanni Denaro, accompagnato da due simpaticissimi ospiti umbri, ai quali racconta, con la sua lentezza dondolante, quanto è bello raccogliere i frutti dalla terra confiscata alla mafia.

C’è Nino Ruta e tanti altri simboli viventi del quartiere, volti noti a chi, come me, è cresciuto all’ombra di San Giovanni, correndo tra Santa Teresa e il Collegio, accompagnato dal susseguirsi ciclico delle processioni e delle feste de L’Unità.

Un motivo triste mi pervade con un brivido improvviso, pensando a quanti assenti, perché hanno già superato la soglia della vera conocenza. Modica Alta, tuttavia, resiste ancora nei sapori e negli odori che promanano da questa soglia di memoria: il ricordo permette ancora di comunicare, i vivi e i morti, tanto che questa non è più solo la festa della Taverna Nicastro e non è nemmeno più la festa di Modica Alta, ma è il momento in cui si aprono le porte pesanti della storia e passa il vento dell’umanità, fatto di nomi e di voci, di amori e di delusioni, di gioie e di dolori, e il tempo sembra avere pietà e si arrende un attimo, con fare di bonaccia, mentre la musica inabissa ogni distrazione e il ballo diventa un’istantanea.

Li guardo tutti, uno ad uno, nelle loro espressioni immobili, ne conto le rughe, osservo i loro denti, le mani indaffarate tra i bicchieri, i piedi dentro i sandali stanchi e vedo  in controluce l’alito di una risata rimasta sospesa, nell’aria immobile.

Mi accordo che la sig.ra Nicastro è rivolta alla punta delle scale e sorride a suo marito, ciascuno guardando l’altra con un tono di intesa, di chi si capisce al volo senza dover nemmeno parlare. Lei è felice e ha l’espressione di una fanciulla, poi guarda nuovamente i figli ma quando torna nuovamente a cercare il suo sposo, trova la notte di Modica Alta, appollaiata a questo nido di pietra.

Metto in moto e mi dirigo verso casa.

Voltando l’angolo c’è un uomo alto, brizzolato, i baffi curati, e tiene per mano un donna minuta, che porta scarpe da bambina. Lui tiene la testa un poco inclinata, esattamente come è solito fare Paolo. Lei sembra farli da paggio, ma ha un sorriso furbo e gli occhi che vibrano di vivacità.

Mi fermo un attimo e abbozzo un saluto, con un cenno incerto della mano.

Anche loro furono parte di questo quartiere.

E sono parte di me…    

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