Il Canonico Spadaro e la Scuola Modicana di pittura

E’ esistita a Modica una scuola di pittura nella prima metà del XX secolo, che non ha nulla da invidiare alla più recente e celebre “scuola di Scicli”. Il gruppo di affermati artisti guidati da Piero Guccione (,Alvarez,Bracchitta, Sarnari, La Cognata,Polizzi,Candiano,ecc.) non costituisce un’eccezione isolata nell’area iblea, ma trova un precedente significativo nell’esperienza di Orazio Spadaro (1880-1959) e dei suoi giovani allievi, che nell’antico studio di via Garibaldi hanno penetrato i segreti del colore e della luce: i fratelli Enzo, Beppe e Valente Assenza ( nipoti diretti del canonico), Tanino Napolino, Giuseppe Malandrino, Giuseppina Frasca Spada, e con loro una schiera di altri appassionati cultori dell’arte pittorica, Nessuno ha  finora messo in evidenza l’esistenza  nel periodo tra le due guerre di questa valorosa “squadra” di pittori, locali,  che a differenza del gruppo sciclitano non si limita ad avere la stessa provenienza geografica, ma si presenta come una koinè artistica legata da vincoli stretti di formazione iniziale e di comuni radici estetiche. Due scuole, la modicana e la sciclitana, che a mezzo secolo di distanza hanno marcato in modo indelebile la storia  culturale del Novecento nell’ex-Contea.

Il convegno svoltosi  nell’ Aula  consiliare di Modica e la mostra iconografica inaugurata presso la Fondazione Grimaldi hanno voluto riaprire “il caso Spadaro”. Si tratta di un artista ingiustamente dimenticato, nonostante le sue opere facciano bella mostra in  chiese, conventi, palazzi signorili, case della “buona” borghesia. Le  tele di carattere sacro, le pale d’altare, le assorte Madonne e gli affreschi “caravaggeschi” di Santi martiri lo hanno reso famoso nella prima metà del secolo scorso come il pittore “ufficiale” della Diocesi di Noto.  Caso quanto mai raro nel XX secolo, se ben due vescovi (Blandini e Vizzini) hanno investito sul talento del sacerdote modicano mandandolo a studiare a Roma e Firenze e commissionandogli importanti cicli pittorici a carattere sacro.  Ma sono state soprattutto le sue splendide “marine”, gli squarci luminosi della campagna modicana, i ritratti inimitabili per incarnato ed espressività a testimoniare la profonda ispirazione poetica del canonico, che trasformò la chesetta rurale di Pozzo Cassero nella sua personale Cappella Sistina, dove trasfondere religione e natura, fede e paesaggio.

Del “gruppo” di Scicli si parla ormai da un trentennio ,sull’onda dello straordinario successo dell’opera di Guccione e dei suoi amici/colleghi, successo che è stato amplificato dai mezzi di comunicazione, da una rete internazionale di gallerie d’ arte, da un sistema “industriale” di mostre ed esposizioni. Nulla di tutto questo ebbe a disposizione l’umile prete di campagna,il parroco-pittore che scelse il volontario rifugio di Pozzo Cassero per immedesimarsi nella natura creata da Dio. Nel caso di Orazio Spadaro il riconoscimento del valore artistico della sua pittura e’ stato più smorzato ,ma non meno significativo e duraturo nel tempo. Soprattutto gli allievi hanno talvolta superato il maestro per fama ed esiti artistici. Enzo Assenza ed i fratelli Beppe e Valente hanno presto lasciato il luogo natio ed hanno acquistato vasta notorietà ,ricordando sempre e pubblicamente il magistrale apprendistato nell’atelier dello zio canonico. Tanino Napolino e gli altri allievi che si sono formati alla scuola di Spadaro non possono semplicisticamente ridursi al ruolo gregario di “minori” e meriterebbero anch’essi un approfondimento critico. E’ importante sottolineare il concetto di “scuola” come costruzione collettiva di cultura artistica. Don Orazio non e’ stato un artista solitario, ma un “maestro” capace di trasmettere competenze e valori.

Non sono un critico d’arte e non intendo avventurarmi in sentieri per me impervi e poco frequentati. Come storico della società vorrei però richiamare l’attenzione sulle vicende ancora sconosciute del Novecento modicano, in particolare del periodo tra le due guerre mondiali. Anni difficili, caratterizzati dal declino politico ed economico della città, che dopo l’alluvione del 1902 fu “scippata” del capoluogo, decapitata della sua migliore classe dirigente da parte del Fascismo, impoverita dal forzato trasferimento degli uffici e dal blocco delle opere pubbliche. La pittura di Orazio Spadaro e del gruppo di giovani artisti che gli hanno fatto corona ha rappresentato uno straordinario fascio di luce nel buio della dittatura, la fiamma mai doma di un grande prestigio intellettuale. La città che ha dato i natali a Pietro Floridia e a Enrico Maltese non ha mai perduto la sua identità storica, che la “scuola” pittorica del “canonico”  ha continuato a coltivare nel segno di una tradizione  culturale “alta” nel panorama italiano.

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