Il tema del dialogo della Chiesa (cattolica romana) con i “non credenti” è tornato d’attualità dopo che l’11 settembre papa Francesco ha risposto ad una lettera del fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari che, professandosi apertamente “illuminista” e senza fede in Dio, in due articoli aveva posto al pontefice alcune domande di fondo sulla possibile salvezza di chi non crede. Ha destato meraviglia il fatto in sé, cioè un papa che scrive una lunga lettera ad un giornale: un evento del tutto inedito, e dunque mediaticamente clamoroso. Ma, se la forma di un tale dialogo è davvero atipica, nella sostanza esso si pone nella scia che la nave di Pietro imboccò cinquant’anni fa.
Nell’aprile del 1963 Giovanni XXIII pubblicò la Pacem in terris, un’enciclica innovativa non solo per le tesi che enunciava – in un mondo armato di bombe atomiche “la guerra è fuori della ragione”, egli ammoniva – ma anche per il suo “indirizzo”, perché non era rivolta, come di norma, ai cattolici, ma, per la prima volta, anche “a tutti gli uomini di buona volontà”: credenti e non credenti erano invitati a collaborare insieme in favore della pace. Papa Roncalli così esplicitava quello che, con parole teologiche più tecniche, ma con eguale afflato, aveva detto l’11 ottobre precedente aprendo il Concilio Vaticano II.
Nel 1964, nella sua enciclica Ecclesiam suam, Paolo VI proclamava che il dialogo, a successivi cerchi, doveva diventare lo stile della Chiesa, anche con i non credenti. E, perciò, istituiva appunto un Segretariato ad hoc, per aprire un sereno terreno di confronto con gli atei. Il Concilio, poi, terminava i suoi lavori, nel ’65, approvando la costituzione Gaudim et spes che già nel suo incipit proclamava: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. E ribadiva la volontà di dialogo con tutti, in particolare con i non credenti, per impegnarsi insieme a favore dell’umanità.
Scelte ed affermazioni che, nella concretezza della vita, non sempre hanno trovato coerente applicazione nel pontificato di Montini e in quelli di Wojtyla e di Ratzinger. Infatti, è ben ovvio che ognuno vada al dialogo con l’altro e l’altra portando il bagaglio culturale e spirituale che è frutto della sua storia e della sua eredità. Ma, anche nel dialogo con quanti hanno come metro di misura la ragione, e solo quella, inevitabilmente si viene posti di fronte alle proprie luci e ombre, e dunque ai propri limiti; e per le gerarchie ecclesiastiche giunge il momento in cui dovrebbero rendersi conto che alcune consolidate prassi ecclesiali, o dottrine proclamate, non solo non reggono ad un esame critico, ma si evidenziano come non rispondenti all’Evangelo.
In un tale contesto, ritengo, andrebbe visto il dialogo di papa Francesco con Scalfari (in qualche modo rappresentante dei “laici” figli dell’Illuminismo). Noi non sappiamo, oggi, se e come quella iniziativa – straordinaria e avvincente, per il metodo – proseguirà. Ma si può prevedere che lo stile bergogliano, e la sua proclamata volontà di concretizzare una fede sincera, ma umile e mite, diverrà beneficamente contagioso. Ma non sarà una passeggiata, perché infine porterà la Chiesa romana ad un bivio: o arroccarsi nella difesa di quelle sue strutture che sono mondane oppure, per essere credibile, convertirsi totalmente al messaggio liberante di Gesù.
Un tema da approfondire, grazie per la precisione nell’esposizione…
Leggere di questa interlocuzione mi ha messo i brividi…