Sulla strada da Frigintini e Castelluccio, tra pietre divelte e rovi spinosi, si ritrovano i resti del Mulino di Pancali, dove negli anni ’30 e per tutti gli anni ’40 si praticava il contrabbando di farina e si macinava nottetempo per evadere gli ammassi obbligatori del grano. A guidare Marcella Burderi nella visita ai ruderi del mulino clandestino è un anziano contadino del posto, Giuseppe Caruso (“Pippinu” per amici e parenti ) , che oltre a far riscoprire uno straordinario reperto di archeologia industriale racconta nello stile colorito del dialetto modicano la sua vita “difficile” e le strategie di sopravvivenza di un’intera generazione di umili e forti uomini del territorio ibleo. La partenza per l’Africa,il lungo servizio militare , la guerra e la prigionia ( “ni purtaru a Scozia supra na navi quantu u paisi di Giarratana” ), scandiscono le tappe di un’autobiografia che si tramanda con i moduli tipici del “cunto”.
“Il grande silenzio dell’altopiano” e’ l’ ultima fatica letteraria di Marcella Burderi ed offre una mappa aggiornata dell’antropologia culturale iblea, recuperando un patrimonio ancora intatto di sapienza popolare e di tradizioni identitarie che rischia di essere cancellato dalla “liquidità” della società postmoderna. Nel solco della lezione metodologica di Giuseppe Pitrè e di Serafino Amabile Guastella, l’autrice continua nell’impegno di raccogliere e di catalogare il vastissimo campionario di cultura orale del mondo contadino ed artigiano, così da restituirci un autentico “sapore del tempo”, capace di suscitare emozioni profonde nel lettore. Insieme a “Pippinu” altri uomini dell’altopiano hanno sperimentato i drammatici conflitti del “secolo breve” . Così Antonio Colombo nel 1941 viene spedito con la sua brigata in Jugoslavia e da “italiano” diventa “partigiano”, schierandosi a fianco dei comunisti di Tito. Così Concetto Ragusa approda in Grecia ,che gli somiglia ad una riproduzione allargata del suo luogo natio : ” ma cca’ e’ comu Fricintini, ci su macci di carruba, macci ri miennula, e nun c’è freddu”. Accanto a loro una folta galleria di personaggi ( “Turuzzu”, “Vartuliddu”,ecc.) che con le loro testimonianze costruiscono una preziosa “biblioteca orale” di proverbi,modi di dire, indovinelli ,preghiere e “nnivinagghie” licenziose per ammaestramento dei giovani.
In realtà sono le donne le vere protagoniste del libro. Con le ritmate filastrocche, con i rituali magici contro malattie, insolazioni, malocchio e “ucciatura”, esse rappresentano un secolare condensato di saggezza e prudenza antiche, di orgoglio e sacrificio familiare, di identità di genere, Sono proprio le ” modicane” le solari signore dell’altopiano, le ancestrali divinità pronte a dispensare consigli e regole di vita. Madri ,mogli, sorelle, nonne e zie svelano a Marcella Burderi ( e alla sua collaboratrice Biagina Gurrieri) con maturo disincanto le storie di matrimoni subiti o combinati, gli amori furtivi e le mille complicità femminili contro il potere patriarcale di padri, mariti e fratelli. L’arte di raccontare e’ solo in parte una dote naturale di queste donne, poiché a fare il resto e’ l’ “ars maieutica” della ricercatrice, che sa penetrare con finezza introspettiva nell’universo femminile per coglierne la fitta trama di strutture narrative, allitterazioni, rime ed assonanze tipiche della koine’ linguistica iblea.
Alcune si ergono dal coro come autentiche soliste. Margherita Poidomani, ad esempio,rivela una conoscenza prodigiosa di pratiche scaramantiche sulla morte e sul lutto (“u juolu ri San Gnabbicu” ) , ma sa pure mutare registro narrativo quando rievoca con disivoltura la sua prima notte di nozze : “a prima notti ciacciariammu e ni canusciemmu. A sicunna notti tutta ciacciariata arrieri! Ci spiai chi ci piacia ri manciari. A terza notti però persi a guerra”. E con altrettanta forza si afferma Ignazia Poidomani, “Zudda”, vera lady di ferro che recita motti e strambotti come sigilli di verità , mentre prepara la ricotta, cuoce il pane casereccio, impasta miele e farina per i dolci della domenica, ricama all’uncinetto: una persona operosa e colta, come tutte le altre che hanno dato sostanza e forma a un’ opera davvero bella, nella quale Marcella Burderi ha saputo trasfondere competenza, impegno civile, amore per la nostra terra.