Un uomo aveva ereditato un podere, con tanti alberi da frutto, che curava tutto da solo, aiutato da una serva, lenta di mente ma lesta di lingua, e dai suoi tre figli, sempre servizievoli e rispettosi della sua autorità e del suo comando, sempre disponibili ad accettare i resti del pranzo che, ogni giorno, il padre concedeva loro, dopo essersi saziato a volontà.
L’uomo godeva in paese di grande stima, perché agli occhi della gente egli si mostrava sempre affabile, mentre in casa sua, grazie alla complicità delle spesse mura familiari, tolta la maschera pubblica dell’uomo buono e gentile, dettava sui figli una legge marziale, priva di ogni generosità.
Quando i ragazzi furono uomini, chiesero al padre di gestire insieme a lui il podere, avanzando idee, proponendo nuovi metodi di coltivazione e, soprattutto, chiedendo di godere anch’essi, alla pari, dei frutti prodotti, ma l’uomo si rifiutò sdegnato, ricordando loro che il podere era suo e che lui solo aveva l’esperienza necessaria per curarlo con la dovuta accortezza e per apprezzarne correttamente i risultati.
Dopo qualche tempo, depressi e stanchi per il modo con cui il padre li trattava, due figli se ne andarono, in cerca di miglior fortuna, mentre il terzo decise di dedicarsi ad un piccolo orticello, che nel frattempo aveva acquistato con suo enorme sacrificio, confinante con il podere del padre.
Quest’ultimo, invecchiando, svolgeva il lavoro in modo rituale, non più con reale convinzione ma solo per il gusto di mostrare la sua ricchezza agli occhi degli altri paesani, nel giorno del mercato. Ben presto, però, non fu più in grado di badare ai suoi alberi che, uno dopo l’altro, cominciarono a morire.
Quando gli rimase in vita l’ultimo albero, l’uomo si recò nell’orticello del figlio, pretendendo da lui i frutti degli alberelli che il giovane aveva frattanto piantato e fatto crescere rigogliosi. Quest’ultimo rispose al padre che avrebbe volentieri condiviso con lui gli esiti del suo duro lavoro ma solo se anche il padre avesse accettato di condividere i pochi frutti, ormai avvizziti, dell’ultimo albero, malato, rimasto nel podere.
Il padre, a queste parole, rimase sdegnato, dicendo che mai avrebbe dato ad altri quello che era solo suo, per cui il figlio, guardandolo negli occhi, con un silenzio loquace, tornò alle sue occupazioni, lasciandolo andare via, in balia della collera e del suo stesso egoismo.
Dopo qualche tempo il padre tornò dal giovane, ma non aveva mutato il suo volere e pretendeva i frutti del lavoro del figlio. Ancora una volta il giovane disse che avrebbe ceduto tutti i frutti del suo orto in cambio di quelli prodotti dall’ultimo albero, ormai morente, che si trovava nel podere ma, ancora una volta, il vecchio egoista si rifiutò e se ne andò accecato dalla rabbia.
Ricordando di avere stima e affetto tra i suoi concittadini, l’uomo, travisato dalla impetuosa bramosia di vendetta, pensò quindi di recarsi in paese e, piangendo e battendo i pugni sul petto, gridò a tutti che suo figlio era ingrato e cattivo, perché voleva appropriarsi del suo unico ed ultimo albero.
Alcuni paesani, alle parole del vecchio, inveirono contro il figlio, gli dissero pazzo, cattivo, malvagio e lo maledirono, attestando stima e affetto al padrone del podere. Anche la serva megera si aggiunse alle invettive del padre, diffondendo odio e rancore.
Solo un uomo, il cieco del paese, chiamato Tiresia, si rivolse al vecchio chiamandolo bugiardo, egoista e stolto e cacciandolo con il suo bastone, innervato e vibrante come un muscolo che esplode, impaziente di verità.
Disse Tiresia: – Tu hai costretto due dei tre tuoi figli ad andare via, lontano da casa, perché con loro sei stato avaro e cattivo, sfruttandoli nel momento del tuo bisogno ed ignorando il loro pianto nel momento della loro necessità! Hai cacciato il tuo terzo figlio, che pure ti è rimasto vicino e si è dichiarato disposto a condividere con te i frutti del suo sudato lavoro, in cambio di un po’ della generosità che tu non hai mai avuto. Adesso torna al tuo podere e vedrai che anche dell’ultimo dei tuoi alberi è rimasto solo uno scheletro senza linfa e del tuo podere solo terra fatta sabbia mentre nel tuo pozzo scorre oramai acqua salmastra! Sei stato senza amore e hai finito per morirne senza, per tua e tua sola colpa!-
Il vecchio, quasi sbeffeggiando quello e dicendo che era cieco anche nell’animo, tornò alla sua fattoria, dove trovò solo macerie e un silenzio pestilenziale.
Era tutto finito. Non c’era più un futuro per il suo podere!
Nell’orticello del figlio, invece, un coro di api cantava inni di zagara e pesca.
Il futuro si era spostato…appena di qualche passo.