Il sonno di Giovanni…

Si passa la mano sul viso, per accertare con esattezza millimetrica i punti sui quali farà scorrere il rasoio. Negli anni ha imparato come ci si rade alla perfezione, dopo innumerevoli prove e tentativi, in questo bagno al piano rialzato della sua piccola casa sopra San Francesco la Cava.

La luce della toletta gli risalta il viso, facendolo emergere dagli abissi notturni della stanza, e sembra ancora bello, nonostante gli anni, con quel baffo alla Clark Gable e i capelli impomatati, sempre perfettamente in piega.

Ha scelto un vestito color tabacco finestrato in marrone, ha pulito le scarpe di vernice, ha tirato fuori la camicia bianca e una cravatta verde.

Finisce di radersi solo quando sente che la lama non incontra più resistenza sulla pelle, quindi si cosparge il viso di dopobarba, bruciando di freddissimo piacere.

Ricorda che deve completare il vestito nuovo di Carmelo, il figlio del calzolaio, appena laureatosi in medicina, esattamente come il signorino che abita il palazzo sopra la sua bottega.

A Peppino questo vestito glielo regalo”- pensa tra sé – “perché il ragazzo se lo merita e ne avrà bisogno, non solo per la festa di laurea, ma anche quando dovrà presentarsi in ospedale, dove ci sta il primario! Chissà se Carmelo e il signorino erano insieme a Catania? Chissà se si sono mai frequentati? Dopo tutto, se il figlio di un calzolaio può oramai frequentare con successo l’università, questo vuol dire che non ci sono più differenze tra loro e noi! No?”.

Parla rivolgendosi a quella fotografia, rimasta lì per 40 anni, l’amore mai tramontato. Parla a quel volto di collegiale, bella e un po’ impertinente, rimasta ragazza per sempre, da quel giorno nero di felicità negata, rimasta ragazza per sempre nel ricordo e nel suo cuore: Sarebbe stato bello vivere al giorno d’oggi, vero? Che non avremmo avuto problemi a sposarci, io e te! E chissà quanti figli!

Si scuote, percorso da un lampo dietro la schiena, e poi si guarda intorno, mentre la luce del mattino inizia a perquisire la stanza, senza chiedere il permesso, come farebbe un poliziotto nella tana del criminale.

Si veste, con una lentezza avvolgente, senza precedenti, ma controlla comunque che la piega dei pantaloni, cadendo a piombo sulla tomaia, copra bene il collo del piede. Sistema la cravatta e mette la giacca.

Ancora una scossa, ancora un lampo e le cose nella stanza si deformano, come dietro la palla di vetro di una maga, lì dove l’occhio non riesce a restare oltre quell’attimo fugace, prima che quella ricordi pietosamente un destino a buon mercato, credibile solo per uomini e donne senza speranza.

Dopo un breve consulto con se stesso crede opportuno stendersi un attimo, giusto il tempo di far passare questo senso bituminoso di stanchezza, perché ha fretta di uscire, ha fretta di andare a messa, come ogni domenica da quando era bambino e sua madre, nascosta sotto il pesante scialle nero, lo conduceva strattonandolo fino alla Chiesa di San Pietro e lui faceva resistenza, perché non amava quelle litanie interminabili e l’odore marcio dei fiori nelle cappelle. Solo l’organo era bello! Solo quello gli piaceva!

Appoggia la testa sul cuscino e la calma si spande nel suo cuore, con la lentezza saggia di un rivolo d’olio. Giovanni percorre il sentiero del sonno pieno, coccolato dalla solitudine di tutta una vita, portando con sé un sorriso malinconico sul volto, il suo sorriso dolce di sempre, mentre il silenzio trama, dispettoso, per tutta la stanza immobile.

Il vicinato farà, domani, quello che si deve fare, sotto gli occhi stupiti di Carmelo, mentre Rosario, il padrone del ristorante sotto San Giorgio, con la sua 1100 nuova e gli occhi freddi di rettile, si prenoterà per tempo, concordando con il nipote di quello, venuto in tutta fretta da Milano, il prezzo, a forfait, di quanto nella bottega del sarto…

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Aggiungi una immagine