Una mano amputata ad un operaio, un ragazzino che dovrebbe stare a scuola ed invece si trova sul luogo di lavoro all’interno dell’opificio dei Donzelli, condizioni di lavoro al di là di ogni più drammatica immaginazione, un inquinamento ambientale che va ben oltre il consentito e rappresenta un pericolo per un’intera comunità.
Sono queste (solo) alcune delle condizioni di totale illegalità in cui lavoravano i dipendenti della Sidi, ditta sequestrata per ordine della Procura di Ragusa, a seguito delle indagini della Compagnia di Ragusa della Guardia di Finanza.
Ieri mattina a Ragusa i dipendenti della ditta di Donzelli hanno inscenato una manifestazione di protesta, con tanto di striscioni e cartelli con i colori dell’azienda. Una manifestazione priva di ogni autorizzazione.
I dipendenti chiedevano alla magistratura di poter ritornare a lavorare.
La richiesta è assolutamente legittima, peccato che il destinatario della protesta è assolutamente sbagliato: non la magistratura ragusana o gli inquirenti, a cui andrebbe detto un ‘grazie’ corale e che hanno evitato che l’illegalità ed il pericolo (in primo luogo proprio per i lavoratori) continuasse, bensì il Donzelli che faceva lavorare queste persone in condizioni inaccettabili.
Basti chiedere a quell’operaio che dalla fine di gennaio, il 29 per la precisione, ha avuto l’amputazione (da schiacciamento) di una mano per colpa delle condizioni lavorative dell’azienda. Basti chiedere a quell’insegnante che martedì scorso si è vista arrivare gli uomini della Finanza per chiedere come mai un ragazzino di dodici anni non fosse in quell’aula di scuola, bensì all’interno dell’azienda del Donzelli.
Basterebbe chiedere a quei residenti di Acate che hanno visto il proprio territorio ancora una volta inquinato dai rifiuti speciali trasportati illegalmente e smaltiti ancor peggio.
Ma andiamo con ordine:
Il 29 gennaio del 2016 un macchinario, ovvero una pressa idraulica con imballatrice che produce la plastica in balle quadrate, causa un gravissimo incidente sul lavoro ad un dipendente che, purtroppo, riporterà la menomazione di una mano. Il tutto, ancora una volta, per causa delle condizioni fuori norma dell’azienda.
Va detto, infatti, che i macchinari di cui parliamo sono assolutamente obsoleti e per evitare che fossero fermati, sono stati manomessi, togliendo il “conta” lavoro.
La macchina, inoltre, è stata manomessa per diminuire la forza lavoro indispensabile per farla funzionare. Quest’ultima andrebbe azionata da due o più operai e, il più vicino al mezzo, dovrebbe stare a due metri e mezzo. Grazie ad una modifica irregolare, invece, veniva impiegato un solo operatore che stava a dieci centimetri dalla macchina stessa.
Dopo l’incidente interverrà personale dello Spresal (Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) che imporrà di bloccare il macchinario.
La Guardia di Finanza, nelle operazioni di sequestro dell’azienda, ha trovato il macchinario nuovamente in funzione, in barba alle disposizioni e mettendo a nuovo rischio i dipendenti che vi lavoravano.
Dipendenti che, va detto, inoltre, lavoravano senza il ben che minimo rispetto delle condizioni di sicurezza (e certamente non per colpa delle stesse persone che, con dedizione, vi lavoravano), così come vi era una totale mancanza di igiene anche per le pause pranzo.
I macchinari erano, come si diceva, totalmente obsoleti e per tale ragione dovevano essere costantemente oleati. Questa operazione veniva realizzata con olio esausto che, mischiandosi con l’acqua del lavaggio per la plastica, andava a finire in quattro vasche di decantazione (delle quali soltanto una regolare).
I fanghi che inevitabilmente debordavano e fuoriuscivano dal terreno, venivano insaccati e messi in alcuni camion che finivano la propria corsa con lo sversamento in alcuni terreni del comune di Acate.
Questi camion avrebbero dovuto avere documentazione d’accompagnamento relativa a “rifiuti speciali”, invece ne erano totalmente sprovvisti e scaricavano i rifiuti irregolarmente, causando un danno ambientale incalcolabile.
Durante l’operazione gli uomini delle “Fiamme Gialle” hanno trovato all’interno un minore di dodici anni che, identificato, risultava permanere all’interno dell’opificio, invece che frequentare la scuola di Vittoria alla quale è iscritto.
Sempre per rimanere alle irregolarità – potremmo fare un elenco che non finirebbe più – va detto che l’azienda di Raffaele Donzelli, ultimamente intestata al padre Giovanni (già condannato per mafia), era gestita non da un’unica società, bensì da 7/8 società di comodo che venivano di volta in volta usate e fatte figurare. Ma su questo aspetto avremo ancora molto da scrivere.
In conclusione, massimo rispetto e solidarietà va data, a maggior ragione in un momento di crisi, ai dipendenti dell’azienda ed alle famiglie ed è auspicabile l’intervento urgente dei sindacati. I dipendenti, però, non possono che comprendere come la propria salute e la salute dei cittadini sia di primaria importanza e che la colpa non sia di chi conduce le indagini o adotta provvedimenti giuridici, bensì di chi vergognosamente se ne infischia delle regole e permette condizioni lavorative da terzo mondo.