La Contea golosa. Alle origini del Cioccolato modicano

La tradizione del cioccolato modicano nasce nell’aristocratico salotto  di Casa Grimaldi, ma viene “benedetta” dagli ordini religiosi  della Contea. Anche se la ricerca e’ solo agli inizi, le carte d’archivio cominciano a svelarci le prime affascinanti pagine della nostra migliore “eccellenza” dolciaria.  Al Consorzio di Tutela diretto con competenza da Nino Scivoletto e alla studiosa Grazia Dormiente spetta il merito di  aver organizzato nel 2011 presso la Fondazione Grimaldi una splendida mostra iconografica, dove sono stati esposti due documenti del 1746 ( una nota di spese effettuate per una “cotta” ) che certificano a quella data l’esistenza di una produzione autoctona. Ma ora cominciamo a saperne di più.
Un prezioso manoscritto della Biblioteca Vaticana  contiene i “capitoli” della Mestranza dei Cioccolattieri, fondata a Palermo nel  1723. In tutta Europa e’ ormai esplosa la “febbre” del cioccolato ( nel secolo precedente usato come medicinale “amaro” ), nobili e borghesi fanno a gara per gustare questa esotica leccornia, che non disdegna i palati di pontefici e cardinali. Nella “felicissima” capitale dell’isola alto clero e aristocrazia sono all’avanguardia nel disputarsi questo consumo di lusso ed esigono artigiani di comprovata bravura. Le regole della corporazione sono perciò  rigidissime e prevedono un tirocinio di almeno sei anni per esercitare l’attività; l’uso di materie prime scadenti  o la vendita senza la speciale “patente” sono puniti con  la cancellazione dall’albo professionale. A sottoscrivere lo statuto della Maestranza sono 32  dolcieri e tra costoro spicca il nome di Andrea Lo Castro, che a Palermo curava la riscossione di alcune rendite  dei Grimaldi.  E saranno lo stesso Andrea e il figlio Angelo per almeno un trentennio  tanto i principali  fornitori di cacao e spezie aromatiche del casato,quanto i sapienti maestri che trasmetteranno  l’arte del buon cioccolato ai “cosaruciari” modicani. La faticosa lettura dei polverosi faldoni dell’Archivio di Stato ci offre continue sorprese. Un inedito carteggio del 1753/58 ci conferma il costante flusso di droghe e prodotti coloniali che dal porto di Palermo giungono al “caricatoio” di Pozzallo , da dove partono i “bordonari” con i loro muli alla volta di Modica , per consegnare al principe don Giuseppe Grimaldi i preziosi carichi di “zuccaro”, “cacaos”, cannella, “avanigli”, “avaniglione”, “ambra gricia”, “musco”, “carta bianca e di strazzo”, che insieme alle pesanti “balate” servono per la “pistatura” e la successiva “stricatura”. A poche, cautele e notamenti  di spese con burocratica precisione testimoniano l’eccezionale dinamismo protoindustriale e mercantile  della capitale della Contea, dove gli abilissimi “cosaruciari” di Casa Grimaldi  fabbricano tutto l’anno “ciccolatti a minuto” , “ciccolatti con avanigli”, “ciccolatti a torrone”, ed altre golose varietà destinate ad un’ampia parentela ed alle altre famiglie nobili. Il principe non bada a spese, se dai registri contabili risulta un “esito” medio annuale di 20/30 onze ( circa 15000 /25000 euro attuali ) per le sole “cotte” e relativa “mastrìa” di cioccolato. Non sappiamo se tante “libbre” di così pura dolcezza ( 1 libbra= 250 gr. circa ) vengano solo consumate o almeno in parte destinate al mercato e alla vendita.  Comunque un mare di liquida e solida dolcezza per le aristocratiche gole della città. Produzione e consumo di cioccolata caratterizzano anche la vita di monasteri e conventi modicani. Nel “Libro degli esiti” del monastero di S.Benedetto (oggi Palazzo della Cultura) per gli anni 1754/1760 sono frequentemente annotate le spese per “pasta amara”, “caccara”. E spezie necessarie per aromatizzare il cioccolato. E se questo mancava erano davvero guai, al punto da giustificare la “smonacazione” di ricche donzelle. Così accade, ad esempio, per per le sorelle Antonia e Raffaella Lanteri, suore di clausura nel monastero dei SS Niccolò ed Erasmo, che nel 1787 ottengono dal vescovo di Siracusa l’annullamento dei loro voti per non essere state soddisfatte dalla Madre Badessa “delle necessarie provvisioni di cioccolatte, caffè e zuccaro” (devo l’aneddoto alla studiosa ed amica Teresa Spadaccino ). Nè erano da meno i Gesuiti, i quali dal 1733 proclamavano nelle prediche la perfetta liceità delle “chicchere” di cioccolata calda , che a loro (interessato) avviso non interrompevano il digiuno nei giorni di Quaresima. Ancora nel 1844 il Superiore del Collegio di Modica, padre Girolamo Blandano, si affrettava ad autorizzare “l’antico uso del cioccolatte” alla mensa dei confratelli, purchè non lo mescolassero al latte e al caffè e non ne bevessero più di una tazza alla volta.
Chi insiste ad affermare che a portare il cacao e l’ “uso antico” della fabbricazione del cioccolato nella Contea siano stati  gli Spagnoli nel ‘500 o direttamente gli Atzechi sa di dire corbellerie, oppure è uno sprovveduto.
Questa è invece la vera storia, certificata dai documenti. Una storia più recente, ma non meno importante e fascinosa.  Il grande racconto di un passato che schiude le porte del futuro.

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