Secondo appuntamento con La libreria di Margherita. Stavolta non ripesco fra i classici che ho amato, ma vi parlo di un libro fresco di lettura e di sensazioni: Racconti dell’età del jazz di Francis Scott Fitzgerald.
Racconti dell’età del jazz è stato il mio primo libro letto in formato e-book sul mio primo Kindle.
È stata anche la prima volta in cui ho scelto deliberatamente di leggere dei racconti, forma narrativa che non amo tanto, preferendo la frequentazione lunga alla fugacità letteraria.
Questa congiunzione di prime volte ha reso il libro affascinante a priori e ha dato alla mia lettura un tocco in più di entusiasmo da principiante/esploratrice. Nuovo supporto, nuova scelta di genere, (quasi del tutto) nuovo autore.
Di Fitzgerald avevo letto solo Il grande Gatsby almeno una decina di anni prima del suo revival commerciale post-film di Baz Luhrmann; non era scattato alcun entusiasmo particolare, ma all’epoca ero una liceale e forse non avevo la maturità giusta per entrare dentro lo stile, il disagio e il senso degli anni di Fitzgerald.
Questi racconti, complice anche l’adrenalina da novità di cui sopra, mi sono piaciuti abbastanza, anche se non tutti allo stesso modo. Il problema dei racconti per me è proprio questo: l’altalena continua di gradimento tra l’uno e l’altro, per non parlare degli addii bruschi a personaggi appena conosciuti, della repressione del desiderio di approfondimento, ma questa è un’altra storia…
Ci sono delle perle dentro questa raccolta: per me brillano più di tutti i racconti della sezione Fantasie e in particolare Il diamante grosso come l’Hotel Ritz, Lo strano caso di Benjamin Button e La strega rossiccia (quest’ultimo più di ogni altro). Sono surreali, ma profondamente umani e inquieti.
Non fatevi ingannare dal titolo della raccolta: della cosidetta “età del jazz” non viene mostrata la parte luccicante, sfrenata e ipervitale, ma la sua dimensione più drammatica e disincantata. Ci sono feste da ballo, c’è l’alcool, ci sono donne bellissime e amori forti, c’è ricchezza dorata e tintinnante, ma tutto ciò ha un sapore di fondo triste e amaro, in certi casi perfino disperato, tragico.
Non a caso a fine lettura mi è rimasta addosso una malinconia che era quasi una voglia di piangere, manco avessi letto racconti sulla Grande depressione.
Al di là di questo e della mia alternanza di picchi e precipizi di apprezzamento (certi racconti li ho trovati insensati), il comune denominatore che ho amato sempre è stato la scrittura di Fitzgerald, la sua prosa elegante, ricercata, quelle frasi in cui basta un aggettivo in armonia con un sostantivo a creare una suggestione perfetta, romantica.
Fitzgerald era uno scrittore nato, di questo sono certa.
Non sono invece certa che mi piaccia davvero e che riesca a trarre beneficio dalle sue opere; ho già acquistato Tenera è la notte, ma per adesso non me la sento di leggerlo, ne ho quasi paura.
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