“L’appello del Processo Modica bene era infondato”. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Catania

E’ definitiva a tutti gli effetti, essendo trascorsi i canonici 45 giorni dalla pubblicazione, la sentenza di assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste per gli otto imputati che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato nel troncone principale del processo «Modica bene», che fece seguito all’omonima inchiesta condotta dall’allora procura di Modica.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
Sono state altresì rese note le motivazioni della sentenza assolutoria della terza sezione penale della Corte d’Appello di Catania presieduta dal giudice Carolina Tafuri e che ha accolto la richiesta in tal senso avanzata dalla stessa procura generale per l’ex presidente della Regione e già deputato regionale Giuseppe Drago, per il fratello Carmelo, all’epoca assessore al bilancio a palazzo San Domenico, per l’allora sindaco di Modica Piero Torchi e Giorgio Aprile, Giancarlo Floriddia, Massimo La Pira, Vincenzo Pitino e Giovanni Vasile. Tutti erano accusati di associazione per delinquere finalizzata alla concussione e al riciclaggio di denaro. Le motivazioni addotte dalla Corte d’Appello sono piuttosto pesanti e inducono sicuramente a riflettere sulla conduzione delle indagini che spazzarono via un’intera classe politica all’apice della sua parabola, decretando di fatto la fine di un’epoca e stravolgendo la vita di ciascun imputato, condizionata negativamente per circa un quinquennio, e forse cambiando anche la storia di questo territorio. Indagini che adesso stridono clamorosamente con il contenuto delle motivazioni della sentenza di assoluzione di secondo grado della Corte d’Appello, che ha condiviso in toto la sentenza assolutoria di primo grado dell’allora gup del tribunale di Modica Patricia Di Marco.

IL RICORSO AVVERSO LA SENTENZA DI 1° GRADO E LA NUOVA ASSOLUZIONE
A quella sentenza si oppose l’allora procuratore Francesco Puleio, che presentò ricorso, laddove pure la procura generale, successivamente, invocò l’assoluzione degli 8 imputati, accolta dai giudici etnei. Proprio in riferimento all’appello di Puleio, la Corte scrive testualmente che «E’ infondato e va disatteso in quanto non si ravvisa, in relazione alle doglianze dell’appellante, alcuna ipotesi di nullità della sentenza di primo grado del gup». Secondo i giudici etnei «E’ noto che, in tema di valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dall’operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo». Motivazioni che suonano quasi come una sorta di lezione di giurisprudenza.

GLI STRALCI FONDANTI DELLE MOTIVAZIONI
Tutti elementi comunque a suo tempo valutati dal gup Di Marco e al quale la Corte d’Appello ha fatto riferimento nel decidere la sentenza assolutoria: «Il primo giudice – si continua a leggere testualmente nelle motivazioni – effettivamente procedeva ad una valutazione globale e unitaria degli indizi raccolti, per poi concludere che ciascun indizio rimaneva fragile in sé e non si componeva con gli altri, secondo i principi in tema di valutazione della prova indiziaria. Tali conclusioni, sorrette da argomentazioni adeguate e immuni da vizi logici, non possono che essere condivise da questa Corte». Per i giudici etnei «L’impostazione accusatoria appare minata irrimediabilmente dai vuoti probatori che investono ciascuna delle fattispecie contestate, nei suoi elementi essenziali. Il rapporto di frequentazione tra molti degli imputati era giustificato da sottostanti relazioni lecite, e non si ricavava pertanto alcun elemento utile da perquisizioni domiciliari o accertamenti bancari, né vi è prova di un apporto dei pubblici funzionari competenti». Secondo la Corte d’Appello quindi «L’ipotesi accusatoria è indebolita dalla circostanza che le richieste di denaro o di assegni (peraltro circoscritte solo ai fratelli Drago, n.d.r.) fossero rivolte a soggetti che non avevano mai avanzato istanze all’amministrazione comunale, come pure dall’assenza di prova di alcuna coartazione o induzione, ovvero di condizionamenti esercitati dagli imputati sui funzionari competenti all’adozione degli atti amministrativi di interesse delle pubbliche amministrazioni».

LE CONCLUSIONI DELLA CORTE D´APPELLO
La Corte d’Appello conclude le motivazioni della sentenza assolutoria di secondo grado asserendo che «Rimanendo imprecisato il riferimento ad una qualsiasi ipotesi di reato, rimanga non provata la illecita provenienza delle somme di denaro in contestazione e pertanto le innumerevoli carenze sopra evidenziate rivelano una frammentarietà del quadro probatorio, affetto da una serie di lacune che resistono ad una valutazione unitaria degli elementi raccolti, né vengono superate alla luce dei rilievi dell’impugnate». Ogni ulteriore commento appare a questo punto superfluo, anche alla luce della piena soddisfazione del collegio difensivo tra gli altri composto dal professore Guido Ziccone e dagli avvocati Luigi Piccione, Mario Caruso e Bartolo Iacono.

LE DICHIARAZIONI DELL´AVVOCATO IACONO: “ACCUSE INSUSSISTENTI: IL NULLA”
Proprio l´avvocato Bartolo Iacono, che ha sostenuto la difesa insieme al collega Piccione, entrambi per Piero Torchi, dichiara che «Questa sentenza dimostra quello che avevamo sempre sostenuto dal primo momento: l’insussistenza di ogni contestazione rivolta agli imputati. L’unico risultato di questo processo – prosegue l’avvocato Iacono – è l’aver dato in pasto all’opinione pubblica notizie su ipotesi di reato che da subito apparivano inesistenti e spacciate per certezze. Alla prova del contraddittorio, di fronte al giudice di primo e di secondo grado, le fantasiose accuse si sono dimostrate – conclude il legale – per quello che erano: nulla».

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