L’assessore Cesare Campailla e le sue amicizie pericolose

Ci sono storie che per l’impatto che producono sulla società vale la pena raccontare. Questa è una di quelle e inizia come un romanzo, con l’arresto il 2 febbraio 2019 di tre albanesi trovati in possesso di ingenti quantità di droga. Le persone arrestate sono Pandeli Prifti, di 40 anni, Luzim Ndreu, di 42 e Kujtim Rapushi, di 37. In particolare, uno dei tre, come riporta la nota della questura del 2 febbraio 2019, viene trovato in possesso di una carta di identità greca falsificata. La droga, secondo stime della polizia, sul mercato avrebbe fruttato quasi 600.000 euro. Le indagini della polizia si erano concentrate su un casolare delle campagne di Vittoria dove i tre erano stati bloccati. In un’auto posteggiata nel fondo i cani antidroga trovano 50 kg di hashish e un chilogrammo di cocaina. Ma fermiamoci un attimo e facciamo un salto temporale. Potrebbe esserci un altro possibile inizio. A Vittoria, città delle primizie e di lavoratori che si svegliano all’alba per andare a lavorare e rientrare la sera, ma anche di mafiosi tra i più feroci e sanguinari della Sicilia, come la Famiglia Gallo o il clan Carbonaro-Dominante, alle prime ore dell’alba del 16 ottobre del 2008 la Squadra Mobile di Ragusa in collaborazione con i militari della Guardia di Finanza di Ragusa –Nucleo Mobile eseguono 68 arresti. Le indagini sono durate due anni, da gennaio 2004 a gennaio 2006. In questi due anni sono stati scoperti due distinte organizzazioni criminali specializzate nel traffico di stupefacenti, ciascuna caratterizzata da propri canali di approvvigionamento e proprie “piazze” di spaccio, dirette ed organizzate una da Pasquale Castellino del clan stiddaro “Dominante” e l’altra da Carmelo La Rocca nipote di Gloria Bonifazio, attualmente collaboratrice del Sindaco, all’epoca reggente del clan “Piscopo” riconducibile a “Cosa Nostra gelese”. Questi due clan agivano e agiscono all’interno del Comune di Vittoria dove detenevano e in alcuni casi detengono il monopolio del traffico e dello spaccio di cocaina ed hashish, con ramificazioni e contatti nelle province di Milano, Palermo, Catania, Reggio Calabria, Caltanissetta, Salerno, Lecce, Siracusa, Varese, Vibo Valentia ed Enna. Le sostanze stupefacenti venivano acquistate in prevalenza nell’hinterland milanese e nella provincia di Reggio Calabria. Una volta arrivata la merce i clan provvedevano a spacciarla avvalendosi di una fitta e collaudata rete di pushers che operava principalmente in prossimità di piazze, vie centrali della città, locali notturni, luoghi di ritrovo dei giovani. Ricordiamo che questi clan avevano ed è lecito supporre che abbiano tutt’ora “collegamenti” con stati esteri, come la Colombia (crocevia mondiale del narcotraffico) e la Germania. Inoltre nell’elenco delle persone che sono state arrestate ci sono due nomi che spiccano fra tutti. Il primo è quello di Venerando Lauretta, condannato pochi giorni fa per le minacce di morte all’amico e collega Paolo Borrometi, il secondo è quello di Gaetano Abbate, figlio di Angelo Abbate, responsabile del centro anziani di via Adua a Vittoria e sostenitore del centro sinistra vittoriese. Fermiamoci ancora e facciamo un altro salto temporale perchè forse non è neanche questo l’inizio. Forse sarebbe meglio partire da una data ben precisa: il 2 gennaio 1999. A vittoria vengono uccisi cinque ragazzi all’interno del Bar della stazione esso lungo la strada che porta alla fontana della pace. Si tratta di Angelo Mirabella, referente del clan della ‘Stidda’ di Vittoria, capeggiata da Carmelo Dominante, Rosario Nobile e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante. Nella strage sono rimasti uccisi anche due ragazzi che non c’entravano nulla, Rosario Salerno, 28 anni, e Salvatore Ottone, 27 anni. Unico sopravvissuto per miracolo il barista, che è riuscito a nascondersi dietro il bancone. Insomma a vittoria l’emergenza non esiste. la mattanza è la norma. Oltre 100 morti ammazzati tra il 1989 e il 1992. Quasi 2200 persone arrestate per mafia dal 1994 ad oggi che, tradotto in cifre, significa un carcerato o un inquisito ogni 120 abitanti e forse anche meno. In Italia c’è un carcerato ogni 1200 abitanti. 600 persone considerate dagli investigatori appartenenti alle bande criminali. Capi clan che fondano partiti e partecipano attivamente alla vita politica e amministrativa. Beni confiscati per centinaia di milioni di Euro alle famiglie di Elio Greco e Giacomo Consalvo(appartamenti, ville, automobili, camion, appezzamenti di terreni, aziende agricole, agenzie di autotrasporti, aziende di produzione di cassette di legno e conti correnti bancari). Com’è stato possibile tutto questo, in una zona che dovrebbe essere un’isola felice, città ricca dove si lavora sodo ma si fanno i piccioli, i soldi; dove si dice che Cosa Nostra non si sia mai impiantata saldamente; e dove l’amministrazione è sempre stata di sinistra con i comunisti sempre(tranne qualche breve parentesi) padroni del municipio? E tutto da spiegare, il paradosso Vittoria. California siciliana, ricca e progressista. Provincia babba, poco furba(cioè senza tradizioni criminali, senza Cosa Nostra). Ma dagli anni ottanta terreno di faide ferocissime, rapidi regolamenti di conti, inarrestabili traffici di eroina ed ecstasy, generalizzate e puntuali riscossioni del pizzo, sparatorie in piazza, esecuzioni all’alba, cadaveri trovati(scheletri)nelle campagne. C’è spirito imprenditoriale a Vittoria, la silicon valley del sud. Sui due fronti: quello del duro lavoro e quello degli impresari del crimine. E le due imprenditorialità, è fatale, finiscono per incontrarsi. Qui nella Vittoria ricca e comunista, insieme agli oltre 120 morti ammazzati, alle quasi 2200 persone arrestate per mafia muoiono due luoghi comuni: che la mafia cresca in aree povere e che si sia sviluppata esclusivamente all’ombra della Democrazia Cristiana. Qui la mafia non esiste, si diceva, c’è solamente criminalità comune, che si è aggregata attorno alla Stidda di Carmelo Dominante. Cosa Nostra, però, negli anni settanta aveva un suo referente in paese, quel Giuseppe Cirasa che nel cimitero di Vittoria ha una tomba monumentale degna di un vero boss. Ma le sue attività erano limitate al contrabbando di tabacchi e alla composizione di liti e contrasti. Insomma fin dalla metà degli anni sessanta mafia a Vittoria vuol dire Giuseppe Cirasa. Un boss vecchio stampo che tiene rapporti con la cupola palermitana e catanese senza entrare nei grandi affari regionali. L’attività principale del gruppo in quegli anni è il contrabbando di sigarette. Un’attività secondaria, qualcuno potrebbe pensare. In realtà un’attività con un elevato numero di addetti, agganci all’estero e reti logistiche in tutta la Sicilia sud-orientale. Fino a Siracusa. Fino a Malta. Ma alla fine degli anni settanta la situazione è destinata a cambiare. Viene siglato un patto fra le cosche più potenti della Sicilia: l’ingresso di alcune imprese catanesi a Palermo in cambio di una maggiore presenza delle famiglie palermitane a Ragusa. Intanto le mafie cambiano pelle e ridefiniscono il loro contatto con l’esterno. Un passaggio che viene condotto con successo a partire dal 1980, quando un giovane in ombra, Turi Gallo, spalleggiato dall’intera famiglia, costituisce un clan. Con loro ci sono anche Carmelo Dominante e tre giovani fratelli che in città incutono già paura e rispetto: Claudio, Bruno e Silvio Carbonaro. Il clan che si forma lascia intendere che non insidierà lo spazio di Cirasa, né minerà la tranquillità di Vittoria. Ma la macchina dei Gallo è già in movimento. S’insinua nell’economia vittoriese, s’impone nelle bische clandestine e si radica nei quartieri popolari, dove vengono arruolati molti giovani. Insomma si stanno creando le condizioni perché il clan rompa la pace a Vittoria e dispieghi le proprie forze. Qual è l’obbiettivo dei Gallo? Acquisire il dominio assoluto su Vittoria. Nei piani di Turi Gallo, perciò, diviene risolutiva la chiusura dei conti con il vecchio boss di Cosa Nostra. E comunque Vittoria dorme sonni tranquilli almeno fino all’inizio degli anni ottanta. Il 9 settembre 1983 la tranquillità di questa striscia di terra, però, muore per sempre. Giuseppe Cirasa viene ucciso. Sacrificato alle esigenze di cambiamento dei giovani vittoriesi che premono dal basso. Ci sono nuovi affari da far partire, le estorsioni, il traffico di eroina, le bische clandestine. A prendere il potere sono i fratelli Gallo, uomini d’onore di Cosa Nostra, ma pronti ad allontanarsene, a diventare completamente autonomi, entrando in quella galassia criminale chiamata stidda. In questo modo si consolida il radicamento nei quartieri e diviene più scientifico il livello di intimidazione e di fuoco. Inizia così la più feroce e sanguinaria guerra di mafia che mette a ferro e fuoco l’intera provincia. Un tranquillo, rispettato, insospettabile insegnante dell’Istituto tecnico per chimici di Ragusa, Biagio Gravina, raccoglie attorno a se i ventenni e i trentenni della cosca. E nel 1987 elimina uno dopo l’altro i fratelli Gallo che adesso riposano, con altri morti ammazzati al cimitero. Il professore segna un passaggio decisivo nella vita del clan. Con lui finisce il dispotismo dei capi, che i Gallo e Cirasa, mutuavano da Cosa Nostra. Adesso tutti gli affiliati vengono chiamati a discutere di tattica e strategia, e viene tenuto conto della loro opinione nelle questioni più importanti, specialmente quando si deve compiere un omicidio. “In fondo siamo una cosca abbastanza democratica”, dichiara Bruno Carbonaro in un processo. Ma gli equilibri all’interno della stidda sono destinati a cambiare. Nel 1989 tocca a Gravina essere ucciso la città si interroga: come mai lo stimato professore è stato ucciso? E come mai portava un giubbotto antiproiettile?) Segue la vendetta e la ricomposizione della Leadership: al comando giungono tre giovani fratelli, cresciuti nel quartiere forcone, Bruno, Claudio e Silvio Carbonaro, insieme a Carmelo Dominante. Sono Criminali efficienti e spietati. Le loro attività sono il traffico di droga e il racket delle estorsioni. Si riforniscono di eroina e kalashnikov in quel grande supermarket della mafia che era l’autoparco di via Salomone a Milano. “Acquistavamo droga e armi a Milano, dice Bruno Carbonaro, perché costavano meno”. Si alleano con altri gruppi della stidda, in guerra con Cosa Nostra, di Gela, Niscemi, Riesi, Agrigento, Palma Di Montechiaro. Consolidano una rete d’estorsioni che parte dal mercato ortofrutticolo e si estende ad ogni attività economica della zona. L’inevitabile resa dei conti tra Carbonaro e Dominante, però, viene impedita solo dall’arresto, tra il 1992 e il 1994, dei tre fratelli che successivamente sarebbero diventati collaboratori di giustizia, spifferando i segreti della loro organizzazione. Carmelo Dominante, intanto, si riorganizza, tra continui e sanguinosi scontri con altri gruppi criminali e brillanti operazioni di polizia e carabinieri, che pur avendo mandato in carcere oltre 2200 persone, non sono riusciti a fermare, fino ad oggi, la continua rigenerazione del clan. Nel frattempo crescono nuove leve. All’orizzonte si affacciano nuovi trafficanti e spacciatori. Si saldano le alleanze anche con clan albanesi ed esponenti della ‘ndrangheta. Infatti le nuove leve acquistano la droga a Milano e a Reggio Calabria. E tra le nuove leve che siglano un patto con gli albanesi di Pandeli Prifti abbiamo Gaetano Abbate che la polizia definisce “elemento di spicco della consorteria criminale dedita al traffico di stupefacenti e riconducibile al clan “Dominante” della stidda”. Oggi residuale per il passaggio di Elio Greco, Consalvo e altri esponenti criminali al clan di Cosa Nostra Madonia-Rinzivillo. Gaetano abbate dopo l’arresto del 2008 sconta la sua pena. Esce dal carcere e viene riarrestato a fine luglio del 2015. La polizia lo trova sul posto di lavoro e lo porta in carcere a Ragusa per scontare la pena. Quando esce definitivamente dal carcere riprende tutti i contatti con i vecchi amici e alleati. Tra cui l’albanese Pandeli Prifti che la polizia aveva arrestato nel 2019 per traffico di droga. Tra le amicizie con cui riprende i contatti spunta anche un assessore del comune di Vittoria, attualmente in carica. Si tratta dell’assessore Cesare Campailla le cui deleghe assessoriali spaziano dalla manutenzione urbana del verde pubblico e dei parchi degli edifici comunali e delle scuole, delle infrastrutture idriche e fognarie, all’approvvigionamento idrico, passando per le politiche animaliste, della convivenza e dell’ambiente. Insomma deleghe di un certo peso. Chi ricopre cariche pubbliche dovrebbe essere, per usare un idiomatismo, come la moglie di Cesare. Ossia al di sopra di ogni sospetto. Ma nella realtà le cose sono ben diverse. E allora può capitare che il 23 maggio, giorno della commemorazione della Strage di Capaci dove persero la vita il Giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, l’assessore Campailla in un post sul suo profilo Facebook, si definisca antimafioso e pubblichi una foto del giudice con una sua frase. Peccato che qualche mese addietro si fosse fatto fotografare in piazza con un pregiudicato per reati di droga, una sera sia andato a cena con Pandeli Prifiti, trafficante di droga, Gaetano Abbate, pregiudicato per reati di droga e amico del trafficante albanese, e altri amici del cuore come li definisce in un post subito cancellato. Ma non contento nei giorni seguenti si rivedono con le stesse persone per un aperitivo in un locale del centro storico di Vittoria. Insomma pare che sia un’abitudine di Campailla quella di frequentare certi personaggi. E del Sindaco di Vittoria, Signor Francesco Aiello di tenerselo in giunta invece di cacciarlo. Certi comportamenti sono uno schiaffo alla memoria di tutti coloro che sono stati ammazzati per mano della mafia. Sono uno schiaffo alle istituzioni democratiche che ogni giorno, in tantissime parti d’Italia, fanno il loro dovere contrastando ogni forma di illegalità e di mafia con fatti concreti e non a parole o tramite slogan come avviene a Vittoria in provincia di Ragusa. L’assessore Campailla cerca di difendersi  quando afferma: “non conosco quei personaggi”. E poi mica posso fare le analisi del sangue a tutti coloro che incontro per strada confessa ad alcuni suoi amici. E questa sua difesa che assomiglia ad una bugia è quasi perfetta come può esserlo l’amore. Un’illusione perfetta per coloro che la ricevono e ancora di più per coloro che la danno perché chi la dà riceve adorazione e potere insieme. Oltretutto la menzogna non ti tradisce, non ti abbandona, non invecchia, non si ammala di cancro, è perfetta tutte le volte che si mette in atto, illude chi non conosce realmente fatti e persone e crea anche un dubbio, instillando insicurezza. In un paese normale tutto questo non dovrebbe accadere. Insomma complici il silenzio e l’indifferenza, l’assessore continua a rimanere in carica. Esaminando questi fatti c’è quanto basta per far diventare Vittoria un caso nazionale che dovrebbe essere attenzionato dalla Commissione Antimafia e dagli organi inquirenti. Cosi in questi orti baciati da Dio e calpestati dall’uomo si dissolve e muore il mito della città ricca, comunista di sinistra e senza mafia.

di Giuseppe Bascietto

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