Latitanti e mafiosi arrestati, per caso, in Toscana… (analisi di Renato Scalia)

L’ex prefetto di Arezzo, Saverio Ordine,  in un’intervista  del 25 luglio 2013 pubblicata da La Nazione, dopo aver dichiarato di “essere rimasto basito” dal contenuto del rapporto sulle della criminalità organizzata in Toscana della Fondazione Caponnetto, definito – nella parte riguardante la provincia di Arezzo – “assolutamente fuori dalla realtà”, tra le altre cose, affermava: “…per quanto riguarda il latitante che si nascondeva a Cavriglia nell’intercapedine di un armadio, si trattava di uno che si nascondeva, non di un tizio che svolgeva nel territorio la sua attività”.

Il latitante, “per caso”, arrestato a Cavriglia nel novembre 2012 era Vincenzo Galimi, considerato contiguo alla ‘ndrina Gallico di Palmi e i carabinieri lo trovarono in una casa sorvegliata con un impianto video a infrarossi, nascosto dietro una finta parete. Nell’occasione furono sequestrati 30 mila euro in contanti e dieci scatole di cartucce da pistola. I carabinieri arrivarono a Galimi seguendo le tracce di un suo parente, trovato poco prima a spacciare in zona e poi arrestato per favoreggiamento insieme al fratello del latitante e ad altre due persone.

Ma i mafiosi latitanti beccati in Toscana, si “nascondono” da queste parti per caso?

Veniamo al più recente caso del 13 aprile scorso.

In un appartamento di Via Grazia Deledda, a Massa e Cozzile – Traversagna, in provincia di Pistoia, è stato arrestato il latitante Concetto Bonaccorsi, “u carateddu”, uno dei più pericolosi boss della criminalità organizzata catanese. L’uomo, nella circostanza, era in compagnia della moglie.

Bonaccorsi – condannato all’ergastolo per omicidio aggravato, associazione di stampo mafioso ed associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – era ricercato dal settembre 2016, allorché fece perdere le sue tracce dopo un permesso premio di 3 giorni.

Insieme al fratello Ignazio (detenuto), Bonaccorsi è il “capo bastone” dell’omonima famiglia, chiamata anche “Carateddi“, frangia armata – cosiddetti “capi militari” – del clan Cappello.

Il clan Cappello di Catania è legato alla stidda, e prende il nome dal boss Salvatore Cappello. È, insieme alla cosca di Benedetto Santapaola, il clan catanese più potente, comanda anche in tutta la Sicilia orientale ed è capace di imporsi perfino in territori difficili come la Campania e la Calabria.

Facciamo un passo indietro negli anni e leggiamo alcuni passi del “famigerato”  Rapporto 2013 sulle presenze della criminalità organizzata in Toscana:

  • “…Nella Valdera (Cascina, Pontedera, Ponsacco) si è registrata la presenza di catanesi facenti capo al clan Pillera-Cappello”.
  • “…Estate 1992, la Polizia di Stato arresta Gaetano Nicotra e Luciano Cavallaro. Pregiudicati con una lunga serie di precedenti penali – erano ricercati dalla magistratura fiorentina con l’accusa di associazione mafiosa – sono fratelli di due vittime della faida mafiosa di Misterbianco. La famiglia Nicotra è in fuga da quando Mario Nicotra, Mariu u tuppu, aveva finito la sua carriera di capomafia a Misterbianco sul selciato di una delle vie principali del paese. Ad ucciderlo, gli uomini del clan di Giuseppe Pulvirenti, il potente Malpassotu, alleato di Nitto Santapaola. Luciano Cavallaro, 24 anni, è fratello di un’altra vittima, Alfio, luogotenente di Mariu u tuppu. Nell’occasione dell’arresto dei due si è scoperto che gli uomini di Nicotra rifornivano di armi i gruppi criminali della Toscana. Tre settimane prima, i due erano sfuggiti ad un blitz dei carabinieri nel quale erano state arrestate altre tre persone e scoperto un cascinale, dentro il quale furono trovati decine di mitra, pistole, lupare, chili di esplosivo, droga, divise da carabinieri. In Toscana, Gaetano Nicotra ha ricostruito il clan che aveva dovuto abbandonare a Misterbianco, un grosso centro alla periferia ovest di Catania. Gli investigatori catanesi lo ritengono esponente di spicco della fazione del clan dei “cursoti” che fa capo a Salvatore Cappello e Salvatore Pillera. Sulle spalle ha denunce per due tentativi di omicidio, furto, droga, armi, sequestro di persona, evasione…”
  • “…Febbraio 1993, operazione Gregge, la Criminalpol Toscana ha eseguito ventuno arresti e dieci ordini di custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso. Volevano uccidere il magistrato Vigna e la sua scorta, riorganizzarsi lontano da Catania da dove erano usciti sconfitti e a testa bassa dopo anni di faide e sconfitte e di trasformare Firenze in una provincia di cosa nostra. Lavoravano in Toscana da due anni, sparando e rapinando. Avevano piani precisi: un sequestro di persona per assicurarsi denaro fresco e un attentato contro il procuratore di Firenze Vigna, capo della Direzione Distrettuale Antimafia toscana, e nemico numero uno delle cosche trapiantate a Firenze e dintorni. Lontano da tutti intanto crescevano ed educavano il futuro boss del clan. Un bambino di dodici anni, tenuto nascosto in giro per l’Italia, ed addestrato per diventare il capo clan di domani. È la storia della famiglia Nicotra, organizzazione efficiente con base a Prato e sotto il controllo della mafia. Una famiglia di Misterbianco, paese della provincia catanese, che fa capo a Gaetano “Tano” Nicotra (arrestato nel 1992 a Montecatini), e fuggita verso la fine degli anni Ottanta dalla Sicilia dopo la morte di Mario, fratello di “Tano”. Dietro gli arresti, mesi e mesi di indagini, intercettazioni telefoniche, blitz e scoperte degli investigatori confermate da un pentito eccellente: Gaspare Mutolo. Il clan Nicotra aveva un progetto: far fuori il procuratore Vigna, facendolo saltare in aria con la sua scorta, probabilmente utilizzando un’autobomba gonfia di plastico in una strada del centro della città, magari proprio davanti al tribunale. Il piano sarebbe stato quasi pronto, e l’azione, secondo gli investigatori, sarebbe dovuta scattare in quei giorni, fra la fine di febbraio e le prime settimane di febbraio. Prima dell’attentato a Vigna, una serie di altri attentati in tutta la Toscana per distogliere l’attenzione degli investigatori dagli affari mafiosi, e per dar credito ad una falsa impronta terrorista per depistare le indagini che avrebbero seguito la strage. I poliziotti della Criminalpol ha trovato anche parte dell’esplosivo, che sarebbe dovuto servire per l’attentato. Era in un deposito vicino Prato e in un cascinale di Vinci, dove è stato arrestato mercoledì 27 gennaio, Antonio “Tony” Nicotra, figlio di Mario, sorpreso sotto il letto con addosso il giubbotto antiproiettile e la paura di essere ucciso dai rivali. Il clan aveva esteso i suoi tentacoli a Firenze, in provincia, a Prato, Pistoia, Grosseto. Capo incontrastato: Gaetano Nicotra, 42 anni, del clan mafioso dei Cursoti, legato alla fazione di Salvatore Cappello e Salvatore Pillera, quest’ultimo considerato, dopo le ultime dichiarazioni dei pentiti, il capo degli stiddari, i mafiosi ora dissidenti di cosa nostra. Attività preferite: il traffico di droga, attraverso una società con sede a Prato, e soprattutto le rapine, commesse a decine in tutta la regione…”.

E a proposito di alleanza tra Cursoti e Cappello, il 30 gennaio 2015, a Firenze, è stato tratto in arresto uno dei 27 personaggi colpiti da misure restrittive della libertà personale nell’ambito dell’operazione “Final Blow”, della Dda di Catania. Gli arrestati, sodali alla cosca “Cursoti – Milanesi”, sono stati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, detenzione e spaccio di stupefacenti, tentato omicidio, estorsione e reati in materia di armi.

Nonostante la presenza in Toscana di elementi del clan Cappello e a cosche alleate è certificata da atti giudiziari almeno dai primi anni ’90, ci sarà sempre qualcuno che dirà che il pericoloso latitante si stava solo “nascondendo”.

Ma vediamo gli altri latitanti e mafiosi arrestati, per caso, in Toscana negli ultimi tempi.

Lasciando da parte il ricercato affiliato alla ‘ndrangheta, arrestato il 21 gennaio 2016, al casello di Calenzano, non si può fare a meno di ricordare gli altri due casi che hanno riguardato l’idilliaca provincia aretina.

Il 16 febbraio 2016, un camorrista viene arrestato in Valdarno per l’omicidio di Nazzareno Mancino, avvenuto il 7 aprile 1999 a Marcianise, e per il tentato omicidio del fratello, Saverio Mancino, un anno dopo. L’uomo, che risiede e lavora in Valdarno, con a carico precedenti per associazione di stampo mafioso, tentato omicidio, rapina e furto, è stato arrestato dalla Polizia di Stato, nell’ambito di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.

Il 25 febbraio 2016 – sono passati solo pochi giorni dal precedente fatto – un altro camorrista viene arrestato in Valdarno. L’uomo è stato arrestato a San Giovanni Valdarno, per omicidio di camorra. Il presunto omicida è stato raggiunto dal provvedimento della Dda di Napoli perché, insieme allo zio e ad altre due persone, avrebbe fatto parte del commando che lo scorso 10 dicembre 2015 a Casalnuovo di Napoli ha ucciso Giuseppe Ilardi. L’omicidio di Ilardi farebbe parte di una faida di camorra che oppone le famiglie dei Gallucci a quelle dei Veneruso, per il controllo delle piazze dello spaccio.

Ma non solo la provincia di Arezzo è stata interessata da queste presenze.  

Il 29 gennaio 2016, è stato eseguito il provvedimento di pena definitiva nei confronti di affiliati al clan pugliese Zonno per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e armi. Uno di questi, Ignazio Minervini, 45enne barese, è stato arrestato a Pescia, in provincia di Pistoia, dove era residente.

In precedenza, nell’aprile del 2015, Giuseppe Talotta, luogotenente della ‘ndrina di Sinopoli degli Alvaro, condannato a 12 anni di carcere si è costituito nella casa circondariale di Massa, dopo diversi giorni di latitanza che – secondo gli inquirenti – avrebbe passato nella provincia apuana, dove aveva un nascondiglio sicuro e soprattutto contatti fidati. Gli investigatori della Dia di Genova, successivamente, grazie proprio a Giuseppe Talotta, sono riusciti ad arrivare anche al boss latitante del clan di Sinopoli, Giuseppe Alvaro. Quest’ultimo se ne stava rintanato tra Massa e la Versilia e si muoveva indisturbato da mesi in Toscana, scortato da due guardaspalle. Tallotta e Alvaro avevano preso contatti a Massa e poi si erano visti in un bar di Lido di Camaiore.

Per coloro che la pensano come l’ex prefetto di Arezzo, probabilmente, anche quest’ultimi due ‘ndranghetisti non saranno latitanti arrestati, ma turisti di passaggio, per caso, in Toscana.

(di Renato Scalia)

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