Lavoro: aumentate le sanzioni per chi non concede il “riposo” ai dipendenti

Il segretario provinciale della Fesica Confsal di Ragusa, Giorgio Iabichella (foto), comunica a tutti i lavoratori che, con il decreto legge n. 145 del 2013, sono aumentate le sanzioni per i datori di lavoro che non concedono il riposo ai propri dipendenti.
“Ogni lavoratore deve riposare almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni. L’orario di lavoro non deve comunque superare le 48 ore in 7 giorni. Quindi non potrà accadere che chi lavora la domenica, – afferma il sindacalista della Confsal – riposerà solo mezza giornata, o addirittura recupererà la giornata di riposo compensativa dopo mesi. Inoltre, il riposo giornaliero deve essere pari ad almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore. Ed infine bisogna ricordare che nessun lavoratore è obbligato a lavorare tutte le domeniche dell’anno, ma che ogni tanto, dipendentemente dal contratto nazionale di riferimento, deve riposare anche in quel giorno festivo”.

“Grazie al Decreto Legge n.145 sono stati aumentati, in modo significativo, ed in alcuni casi fino a 10 volte, gli importi delle sanzioni amministrative previste a carico dei datori di lavoro inadempienti”.
Le sanzioni variano da un minimo di mille euro (prima del D.L. erano 100 euro) ad un massimo di 50mila euro per chi non garantisce il riposo settimanale e giornaliero, mentre aumentano del 30% le sanzioni previste per il lavoro in nero. Per le aziende che non assumono, infatti, viene applicata una sanzione amministrativa da 1.950 a 15.600 euro (prima del D.L. da 1.500 a 12.000) per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di 195 euro per ogni giornata di lavoro svolto.

“A questi aumenti – conclude Iabichella – dovrebbe, tuttavia, seguire una significativa defiscalizzazione del costo del lavoro, consentendo a tutte le aziende, oggi in gravi difficoltà economiche, di poter assumere regolarmente e concedere i riposi spettanti per legge ai propri dipendenti. Non vogliamo più assistere ai ricatti, seppur legittimi, di grandi aziende che, non riuscendo a sostenere il costo del lavoro in Italia, minacciano di trasferirsi all’estero”.

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