L’Italia capovolta. Dal miracolo al declino

Quando rifletto sull’Italia di oggi, paese in declino strutturale, il mio pensiero va agli anni del “miracolo economico” e al “grande balzo” che  tra il 1950 e il1975 trasformò una nazione di contadini nella settima potenza industriale del mondo. Quali le cause, i soggetti e gli attori protagonisti di quella impetuosa crescita ,che oggi non  costituiscono più fattori trainanti dello sviluppo? In breve ,cosa ha capovolto il miracolo in maledizione, le pubbliche e private virtù in vizi e patologie collettive della presente dis-unità d’Italia? E come nella nostra piccola realtà iblea gli elementi  positivi del recente passato ( il miracolo-Ragusa ! )  sono stati cancellati  da una crisi  senza sbocco?
Gli storici concordano sui quattro fattori positivi che consentirono il take-off dell’economia italiana : 1) una “signora” classe imprenditoriale che investi con intelligenza e creatività nei cosiddetti beni di consumo “durevoli” ( frigoriferi, lavabiancheria e lavastoviglie , televisori, macchine da scrivere , automobili utilitarie, settore tessile ) con cui abbiamo conquistato larghe fette del mercato comune europeo e mondiale; 2) uno Stato “keynesiano” , capace di realizzare le infrastrutture di base ( autostrade, porti, aeroporti, scuole, ospedali ) e nello stesso tempo di ridurre le disuguaglianze sociali, garantendo ai cittadini i sevizi sociali ( istruzione, pensioni, sanità, sicurezza )  ; 3)  un sistema fiscale non oppressivo delle classi medie e popolari, insieme ad un debito pubblico sotto il 50%del PIL ;  4) un quadro politico stabile ,con una classe dirigente autorevole e con partiti in grado di rappresentare  interessi collettivi e coesione nazionale.
La Golden Age della Prima Repubblica si è esaurita negli anni ’80 con le prime avvisaglie della crisi e con la mutazione genetica dei partiti, trasformati in clientele ramificate dalla periferia al centro e in terminali di tangenti e di gruppi lobbistici, che hanno snaturato  i caratteri  originari del capitalismo italiano. La Seconda Repubblica non interrompe la china discendente, anzi ne moltiplica i guasti.  I quattro fattori da positivi sono così diventati negativi : 1) l’intreccio perverso tra industria e finanza ha clonato un nuovo genere di imprenditori/speculatori ( la Parmalat di Tanzi, i “furbetti del quartierino”, i banchieri d’assalto, ecc. ) ; 2) lo Stato da keynesiano è diventato iperliberista, ritirandosi dai settori strategici e privatizzando banche, sanità,università, trasporti,energia. Uno Stato taglia tutto , ma sempre più ingiusto, sprecone, forte con i deboli e debole con i forti. Non si investe più in ricerca ed innovazione, viene abbandonato il Mezzogiorno, si inaugura un federalismo fasullo e inefficiente ; 3) le tasse spremono i cittadini e nello stesso tempo cresce a dismisura il debito pubblico. Nel 1993 il debito  era pari a 1000 miliardi di euro ( 60% del PIL, in linea con i criteri dell’ UE ) , la Seconda Repubblica lo raddoppia a 2200 miliardi ( 130% del PIL ) ; 4) i partiti tradizionali scompaiono, quelli nuovi sono gruppi affaristici e caste di politicanti di professione ( tranne le dovute eccezioni, che confermano la regola ) , privi di ideologie, ideali, programmi, valori etici di riferimento.
Anche il “modello Ragusa” si è modificato nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il miracolo dell’ “oro verde” ,rappresentato dall’ortofrutta in serra e a pieno campo, si è afflosciato quando la concorrenza similare euromediterranea da un lato e l’organizzazione oligopolistica della grande distribuzione dall’altro hanno accerchiato le nostre microimprese
contadine,costringendole a svendere sottocosto le loro produzioni . Allo stesso destino rischiano di soggiacere le piccole e medie imprese del settore industriale ( legno, alluminio, marmo e pietra, agroalimentare ) oggi affette da scarso spirito associativo, da nanismo imprenditoriale, da scarsa innovazione. Dal miracolo al declino : sembra essere questa la parabola anche dell’area iblea. Una parabola discendente che chiama in causa le responsabilità istituzionali e politiche di un’ intera classe dirigente. A cominciare dalla Provincia regionale, dalla Camera di Commercio, dalle organizzazioni datoriali e sindacali, per finire alla deputazione nazionale, regionale ,ai partiti politici assenti sul territorio.
Occorrerà lavorare davvero sodo per risalire la china, a Roma come a Ragusa. Senza più alibi per nessuno . E soprattutto con nuove classi dirigenti, non con i gattopardi vestiti a nuovo.

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Aggiungi una immagine