Seppure in diminuzione, l’importo del debito della P.a. nei confronti dei fornitori rimane ancora spaventoso e non ha eguali nel resto d’Europa. Lo afferma la Cgia, ricordando che non esistono dati ufficiali ma che la Banca d’Italia ha compiuto per il 2015 una stima con un grado d’incertezza per niente trascurabile: le aziende private, a fronte di forniture, manutenzioni o lavori fatturati alla P.a., vanterebbero crediti per 65 miliardi di euro. Di questi, 31 sarebbero di natura fisiologica (importi non ancora liquidati perché dalla data di emissione della fattura non sono ancora trascorsi 30-60 giorni stabiliti dalla Direttiva) e 34 da imputare ai ritardi nei pagamenti. Dati, secondo la Cgia, sicuramente sottodimensionati e riferiti ancora al 2015.
Nel confronto internazionale la nostra P.a. presenta un livello di debiti commerciali nettamente superiore. Dai dati forniti dall’Eurostat lo stock di debiti commerciali al 31 dicembre 2015 era in Italia di 48,9 miliardi di euro, pari al 3% del Pil. (Cgia sottolinea che questi dati non includono i debiti ceduti con la clausola pro soluto ad intermediari finanziari e della quasi totalità dei debiti riconducibili alla spesa in conto capitale). In Spagna, invece, lo stock ammontava a 14,5 miliardi (1,3% del Pil), in Germania a 37,4 miliardi (1,2% di Pil) e in Francia a 26,4 miliardi (1,2% di Pil). Il debito però si è ridotto negli ultimi anni, grazie agli interventi messi in campo nel 2013-14 ed allo stanziamento di 56,2 miliardi.
L’ultimo aggiornamento disponibile (fermo ancora al 20 luglio 2015) – scrive la Cgia – evidenzia che i pagamenti hanno toccato quota 38,6 miliardi, pari a quasi l’86 per cento delle risorse messe a disposizione. Ma nonostante i fornitori abbiano l’obbligo dall’inizio di aprile del 2015 di emettere alla P.a. le fatture in via informatica, lo Stato non ha ancora una mappatura certa dei debiti a cui deve fare fronte. E a conferma delle difficoltà con cui lo Stato gestisce i rapporti commerciali con i propri fornitori, la Commissione Ue non ha ancora archiviato la procedura d’infrazione avviata nel giugno del 2014 nei confronti dell’Italia a seguito della non corretta applicazione della direttiva Ue.
Secondo la Cgia , le lungaggini burocratiche, il cattivo funzionamento degli uffici pubblici, i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles, l’abuso di posizione dominante del committente e la mancanza di liquidità sono le motivazioni che consegnano al nostro Paese la maglia nera in Ue della correttezza nei pagamenti. Nonostante dal primo gennaio 2013 la legge stabilisca che il pubblico debba pagare entro 30 giorni, salvo non sia un’azienda sanitaria che allora lo può fare entro 60, queste disposizioni continuano ad essere spesso disattese, con ricadute molto pesanti soprattutto per le piccole imprese che dispongono di un potere negoziale molto limitato nei confronti degli enti pubblici. Un problema, è bene sottolinearlo, che, purtroppo, non riguarda solo le transazioni commerciali con il pubblico, ma anche tra aziende private. Un malcostume generalizzato che non ha pari nel resto dell’Ue.
Questo è il quadro disarmante dell’Italia, solerte nell’esigere quanto gli è dovuto dai cittadini ed assolutamente indisponibile a compiere il proprio dovere quando si tratta di doverli pagare per forniture o prestazioni di servizio resi.
E’ evidente che l’Italia è governata da uomini senza scrupolo, incapaci di assolvere al proprio ruolo ed insensibili a tutto ciò che il loro comportamento produce nelle migliaia d’imprenditori costretti al fallimento.
Mi piace pensare che sempre più italiani acquisiscano la necessaria consapevolezza per addivenire ad un radicale cambiamento della classe dirigente del Paese e non si lascino più turlupinare dai bla bla bla di soggetti che hanno solo dimostrato di pensare ai loro interessi personali.