Una bella iniziativa si è tenuta ieri (sabato 17 novembre 2018, ndr) presso l’aula magna del Liceo Scientifico di Modica, su iniziativa della locale Rete degli Studenti. I ragazzi hanno proiettato “Sulla mia pelle”, diretto da Alessio Cremonini e selezionato come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il caso Cucchi è noto: Stefano, interpretato da un bravissimo Alessandro Borghi, fu arrestato a Roma nel 2009, con l’accusa di detenzione e spaccio di droga. Barbaramente picchiato da alcuni carabinieri, morì qualche giorno dopo, a soli 31 anni.
La vicenda è stata portata alle cronache nazionali dalla tenacia di Ilaria, sorella di Stefano, che non si è mai arresa all’idea che la morte di suo fratello fosse stata sbrigativamente liquidata come conseguente a “disidratazione e inedia”. Intervenuta telefonicamente per salutare gli studenti di Modica, ha spiegato che la sua non è una battaglia contro l’Arma dei Carabinieri, ma una lotta per la Giustizia e per la Verità.
I ragazzi della Rete degli Studenti hanno scelto il film sul caso Cucchi perché esso rievoca esperienze, situazioni e sensazioni comuni a tanti giovani italiani: dalla questione della droga/tossico dipendenza al rapporto/senso di abbandono da parte dello Stato.
Al di là delle domande che potrei porre, da avvocato e operatore del diritto, appare evidente che il caso Cucchi è, oggi, un simbolo ma anche un sintomo dello stato di salute della Repubblica Italiana e delle sue Istituzioni.
La legge dei grandi numeri, non solo nelle grandi realtà metropolitane, il numero esiguo di personale nei ruoli più importanti delle amministrazioni statali (Giustizia, Scuola, Sanità), le risorse scarse, la burocratizzazione comportamentale di molti soggetti, soprattutto a livello apicale, la continua fuga dalle “responsabilità” e dal senso del dovere, per cui ci si cura solo di avere “le carte pulite, i documenti a posto”, senza tenere conto di quello che c’è dietro quelle carte e quei documenti e cioè uomini e donne in carne e ossa, storie di umana disperazione, di degrado, di abbandono, di implacabile senso di sfiducia verso Istituzioni sempre meno sintonizzate sui problemi del paese.
Secondo questa logica, diventa normale che un Giudice, in sede di convalida, pur trovandosi davanti un giovane con il volto palesemente tumefatto e visibilmente sofferente, non si sia posto alcun problema e non ne abbia fatto menzione nel verbale. Diventa normale morire nella sala d’attesa di un Pronto Soccorso o non venire più richiamati in caso di abbandono scolastico.
Ci sono sempre e solo “le carte”! Opportunamente “addomesticate” nel contenuto e nella forma e, nei casi più gravi, come ad esempio quello di Cucchi, occultati, affinché la Verità sostanziale, con le sue omissioni, negligenze o incompetenze, non emerga mai a mettere in discussione la Verità formale, quella che invece assolve e giustifica sempre.
Secondo questa logica l’individuo scompare e diventa un numero, un piccolo numero dentro il calderone di un sistema sempre più grande e sempre più indifferente. Ma quando l’individuo diventa numero perde la sua dignità e la sua vita non assume più alcuna rilevanza per nessuno e forse nemmeno per se stesso. Per questo, a mio modesto avviso, anche ammesso, come qualcuno sostiene, che Stefano Cucchi abbia manifestato una scarsa collaborazione, tale circostanza non la posso più addebitare ad una scelta volontaria di quel giovane, ma alla rassegnazione di un uomo che si è visto sbattere tutte le porte in faccia, perché ridotto a numero, a mero dato statistico e abbandonato nella sua disperazione individuale.
La sua dignità, il suo essere umano, con i suoi pregi, i suoi difetti, le sue debolezze e senz’altro le sue colpe: tutto è stato cancellato nel momento in cui egli è caduto nella rete del sistema, all’interno del quale si consumano anche azioni turpi ma dove tutto viene triturato e ripulito dalla solita bastarda centrifuga del formalismo.
Dobbiamo cominciare a chiederci perché tante persone decidono, ogni giorno, di “mollare”, perdendo la battaglia della vita, e dobbiamo impedire loro di gettare la spugna, se non vogliamo certificare il definitivo fallimento dell’intera società c.d. civile. E’ compito di ognuno i noi. Nessuno escluso!
Fortunatamente il coraggio di Ilaria, di una cittadina italiana, come ieri si è meravigliosamente definita, ha aperto la strada ad un grande movimento di opinione ed è riuscita a rompere la breccia dell’omertà e delle connivenze, portando a processo coloro i quali, chiamati a custodire il valore di una divisa gloriosa e bellissima, ne hanno macchiato la storia e il decoro con un vile atto di teppismo da sobborgo urbano.
Permettetemi di dirlo con grande franchezza: chi ha pestato Cucchi, con lui ha pestato la memoria di carabinieri, poliziotti, militari e, prima di tutto, veri italiani, che hanno dato la loro vita per difendere i cittadini, la libertà e la democrazia in questo paese.
La memoria infangata di tanti eroi italiani, capisco che suona strano, quasi un ossimoro, per me è caduta con l’ultimo respiro di Cucchi Stefano, di anni 31, deceduto in Roma, il 22 ottobre del 2009, detenuto in attesa di giudizio.
L’una e l’altro insieme, sotto la mannaia di uno Stato che si è fatto “Castello”.