“Non e’ piu’ possibile che uno come Matteo Messina Denaro si sottragga all’arresto”, e’ una storia che dev’essere “necessariamente” chiusa, una latitanza a cui porre termine. Lo ha detto Federico Cafiero de Raho, capo della procura nazionale antimafia e antiterrorismo, intervenendo in Rai alla conferenza stampa di presentazione di ‘Maxi – Il grande processo alla mafia’, una serie tv per raccontare anche con il linguaggio della docufiction la storia dei 637 giorni del maxiprocesso di Palermo a Cosa nostra.
Il capo della Dna ha sottolineato che Messina Denaro “e’ un uomo che rappresenta ancora oggi la proiezione di una strategia stragista e di programmi criminosi”. Quindi ha ribadito che “non e’ piu’ consentito” che il ricercato numero uno in Italia “continui a trovare accoglienza in quei territori”.
Il procuratore nazionale antimafia ha poi ricordato la sinergia con cui lavorarono il presidente del collegio giudicante, Alfonso Giordano, che veniva dal civile e fu “tirato fuori e catapultato nel processo al gotha della mafia imprenditrice e capace di stringere accordi con la politica”, nonche’ il ruolo del giudice a latere Grasso e dei giurati popolari: “Questa ricostruzione evidenzia in pieno la serieta’, la tranquillita’, una sorta di diplomazia, di Giordano”. Ci fu un mix tra la capacita’ del giudice civile di spezzettare ogni aspetto e analizzarlo con la capacita’ del giudice penale “che porta a sintesi tutto”. De Raho ha anche detto che dietro l’eleganza degli imputati dietro le sbarre mostrata dalle immagini d’epoca “c’e’ tutta la mafiosita’, l’arroganza. La mafia ha la capacita’ di muoversi con le armi peggiori e mostrando cosi’ il suo vero volto”. Il capo della Dna ha sottolineato inoltre l’importanza della Convenzione di Palermo con le linee guida nel contrasto alla mafia, convenzione attivata all’epoca dall’azione di Giovanni Falcone, e ricordato anche che nessun Paese ha una legislazione antimafia come la nostra e che vede altri Paesi oggi adoperarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
Arricchito dalla colonna sonora originale di Giorgio Spada, il racconto si sviluppa attraverso la voce narrante di Franco, un giornalista Rai interpretato da Giovanni Guardiano, che si mescola alle immagini dell’epoca e fa rivivere ‘l’epopea’ di giornalisti e tecnici Rai chiamati a documentare l’intero processo, per il pubblico italiano e per le tv di tutto il mondo. Accanto a Franco lavora una squadra composta da un cameraman, Gianni (interpretato da Fabrizio Colica) romano, trentenne, mandato come rinforzo, e Teresa (interpretata da Chiara Spoletini) montatrice e assistente alla regia appena assunta. Contornati da altre figure di redazione, Franco, Gianni e Teresa seguono l’intero processo, condividendo lo stress di un lavoro incessante, affrontando complesse situazioni emotive, pressioni psicologiche e minacce, fino alla sentenza finale.
Tra le puntate proposte nella docufiction e ovviamente anche con le immagini vere dell’epoca, il confronto tra Tommaso Buscetta, il ‘boss dei due mondi’, e Pippo Calo’, indicato come il “cassiere” di Cosa nostra, con lo storico faccia a faccia in aula il 10 aprile 1986.