La situazione mafiosa e criminale nell’area di Gela e Niscemi è sempre più in evoluzione e, secondo la Relazione 2014 della Direzione Nazionale Antimafia, sempre complessa e molto pericolosa.
Partiamo affrontando, nome per nome con riferimento territoriale e di legame mafioso.
I leader indiscussi sono, secondo la relazione della Dna, ben cinque:
Francesco La Rocca che, leader indiscusso di cosa nostra calatina, ha sfruttato i vincoli di amicizia che lo legavano al defunto boss Daniele Emmanuello, cercando di sfruttare la situazione e tentando di unire sotto un’unica egida le famiglie criminali gelesi e calatine;
Giuseppe Alfieri, inteso “u Verru”, avrebbe riunito intorno a se un gruppo di persone costituito da parenti ed amici dei quali usufruiva per la realizzazione di qualsiasi tipo di reato, dal furto al danneggiamento alle estorsioni, tanto da essere mal sopportato sia da cosa nostra che dalla stidda gelesi;
Alessandro Barberi, soggetto “socialmente pericoloso e ancora operativo sotto il profilo criminale”. Barberi – consuocero del capomafia ergastolano Piddu Madonia – è tornato in carcere alcuni mesi fa con l’operazione antimafia Fenice, perché indicato come nuovo rappresentante provinciale mafioso e quindi vero capomafia della Provincia di Caltanissetta;
Giancarlo Giugno, capo storico della famiglia mafiosa niscemese;
Alberto Musto, insospettabile studente universitario, ha raccolto il testimone di Giancarlo Giugno, diventando il nuovo reggente della famiglia di Niscemi;
Gela
E’ stata l’operazione “Tetragona” che ha permesso di svelare le dinamiche criminali e mafiose della “complessa e variegata realtà della famiglia gelese di cosa nostra e le sue ramificazioni in Lombardia e Liguria (più precisamente nel Varesotto e a Genova).
Sono stati ricostruiti gli organigrammi ed i principali eventi criminali del sodalizio mafioso di cosa nostra di Gela, seguendone l’evoluzione, in particolare dopo la morte del boss Daniele Emmanuello, avvenuta nel 2007, il cui gruppo fino a quel tempo aveva di fatto estromesso i Rinzivillo dal comando del sodalizio mafioso che, allo stato attuale, vista l’assenza di una vera e propria leadership, è attraversato da una certa instabilità del vertice.
E’ proprio il vuoto di potere che avrebbe portato Francesco La Rocca, leader indiscusso di cosa nostra calatina, a colmare il vuoto (sfruttando i vincoli di amicizia che lo legavano allo stesso Daniele Emmanuello) e tentato di unire sotto un’unica egida le famiglie criminali gelesi e calatine.
Tale situazione mafiosa e criminale – per la Dna – sarebbe confermata dalla operazione “Repetita Juvant“.
E’ sempre l’attenta attività investigativa dell’ultimo periodo ad evidenziare come Giuseppe Alfieri, inteso “u Verru”, avesse riunito intorno a se un gruppo di persone costituito da parenti ed amici dei quali si serviva per la realizzazione di qualsiasi tipo di reato, dal furto al danneggiamento alle estorsioni, tanto da essere mal sopportato sia da cosa nostra che dalla stidda gelesi.
Il gruppo organizzato di Giuseppe Alfieri si è accreditato nell’area gelese quale soggetto che agiva in modo autonomo rispetto sia a cosa nostra che alla stidda.
In definitiva, le organizzazioni criminali gelesi continuano a fare sentire la loro pressione sugli imprenditori e sugli operatori economici della zona, ricorrendo all’ormai consolidato e sistematico accordo di non belligeranza con l’opposta fazione stiddara per il controllo e la suddivisione dei proventi derivanti dalle illecite attività.
A fine giugno 2014 è stata scongiurata una pericolosissima faida, per la leadership del Clan Rinzivillo (dello storico leader Crocifisso Rinzivillo), portando all’arresto: Davide Pardo, di 33 anni, lo zio Roberto Di Stefano, di 46 anni, ex collaboratore di giustizia che voleva riprendere il suo posto di capo dichiarando guerra al nipote, Nicolò Piero Cassarà, di 47 anni, fedelissimo del Di Stefano, tutti di Gela.
Le due organizzazioni mafiose continuano ad assicurarsi il controllo delle varie attività imprenditoriali, costituenti il capiente “granaio” dal quale attingere le risorse atte a garantire loro cospicui profitti, operando in accordo attraverso il preventivo scambio di informazioni nonché la partecipazione a periodiche riunioni atte a garantire l’equa ripartizione del “pizzo” e, dunque, un sostanziale pareggio delle rispettive entrate finanziarie.
In sostanza i due gruppi, mutuando modelli organizzativi “istituzionali”, hanno garantito il coordinamento delle rispettive attività, istituendo una sorta di “sala operativa”, volta ad ottimizzare energie ed a dividere equamente i profitti, evitando sovrapposizioni e prevenendo possibili situazioni di conflitto.
In un tale contesto, non si possono escludere eventuali dimostrazioni di forza da parte dei clan, decisamente innervositi non solo dalla costante pressione investigativa cui sono sottoposte, ma anche dall’atteggiamento di rifiuto alle vessazioni mafiose che, ormai da qualche tempo, hanno assunto le istituzioni locali ed una parte dell’imprenditoria gelese, la quale, già da alcuni anni, si è costituita in una associazione antiracket, molto attiva sul territorio.
Niscemi
Per quanto riguarda il territorio di Niscemi, le indagini hanno permesso di ridisegnare l’assetto della consorteria mafiosa di Cosa Nostra, ricostruita dopo gli arresti del febbraio 2013 nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Rewind”.
Giancarlo Giugno, capo storico della famiglia niscemese, è stato (per fortuna) tratto in arresto. Ma dopo il suo arresto a prendere le redini del comando mafioso è stato Alberto Musto, insospettabile studente universitario e nuovo reggente della famiglia di Niscemi.
Alberto Musto avrebbe coltivato rapporti con persona di fiducia del boss gelese Alessandro Barberi, ovvero il pastore niscemese Fabrizio Rizzo presso il cui ovile, di contrada Ursitto, sarebbero state effettuate riunioni che vedevano protagonisti i reggenti delle famiglie di Niscemi e Gela, ovvero Giancarlo Giugno e lo stesso Alessandro Barberi.
Alberto Musto, inoltre, aveva creato un vero e proprio esercito criminale, avvalendosi di altri adepti alla consorteria, tra i quali Alessandro Ficicchia e Salvatore Blanco, storici appartenenti a cosa nostra niscemese, e reclutato in ultimo il marmista niscemese Luciano Albanelli.