La mafia nel messinese si è sempre divisa (e continua ancora oggi) fra il territorio della c.d. “fascia tirrenica” (FOTO SOTTO – Mistretta, Patti, Barcellona Pozzo di Gotto), dove le stesse organizzazioni intrattengono più intensi collegamenti con Cosa nostra delle province di Palermo, Catania e Caltanissetta ed hanno anzi assunto una strutturazione e sistemi operativi del tutto omologhi a quelli di Cosa nostra della provincia di Palermo ed il territorio di Messina e della c.d. “fascia jonica” (FOTO SOTTO), in cui le organizzazioni di tipo mafioso intrattengono più intensi collegamenti solo con Cosa nostra (e altre organizzazioni mafiose) della provincia di Catania, nonché con esponenti della ‘ndrangheta calabrese.
Nella Relazione 2014 della Direzione Nazionale Antimafia troviamo la geografia dei clan e tutti i nomi, frutto delle diverse operazioni che si sono susseguite.
La Direzione Nazionale Antimafia parte dall’individuazione del covo in cui si nascondevano i latitanti Mignacca: Calogero Carmelo e Vincenzino, e dal conseguente arresto di Calogero Carmelo Mignacca, avvenuto nel territorio di Siracusa il 10 novembre 2013 (in quella stessa occasione Vincenzino Mignacca, per sottrarsi all’arresto, si suicidò sparandosi un colpo di pistola alla testa).
I due Mignacca sono stati ritenuti i capi e promotori di un sodalizio mafioso riconducibile a Cosa nostra siciliana, denominato appunto “Gruppo Mignacca”, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina, in particolare nel comprensorio dei Nebrodi, fra i comuni di Tortorici, Brolo, Montalbano Elicona, Sinagra ed altri ancora.
I gruppi mafiosi della città di Messina e della c.d. “fascia jonica”, a parte i noti collegamenti con la ‘ndrangheta e Cosa nostra catanese, hanno segnato – per la Dna – una vera e propria evoluzione da quella più violenta, alla fase del riciclaggio e della creazione di quella che senza dubbio può definirsi “imprenditoria mafiosa”.
Le indagini in corso stanno verificando se, oltre a Carmelo Ventura, vecchi boss dello spessore di Santi Ferrante, Marcello D’Arrigo e Giovanni Lo Duca, dal carcere, riescano ancora a gestire le attività degli affiliati.
Si stanno verificando, inoltre, da un lato i legami esistenti tra gli esponenti della criminalità mafiosa (e i gruppi di riferimento nell’area territoriale messinese) e personaggi appartenenti ai clan catanesi e calabresi; dall’altro i legami esistenti con gli interlocutori politici, anche con riferimento alla compravendita dei voti.
Situazione, quest’ultima, in qualche misura già emersa nel corso di alcune indagini (ed intercettazioni), coperte dal segreto istruttorio.
E’ stato avviato, inoltre, un intenso lavoro investigativo sui legami tra le organizzazioni criminali e alcuni imprenditori borderline, nell’ottica dell’applicazione di ulteriori misure di prevenzione patrimoniali.
Oggetto di particolari approfondimenti ad opera della Dda di Messina è quanto emerso anche dalle dichiarazioni dei collaboratori Bisognano Carmelo e Gullo Santo, e cioè che nel 2006 si avviarono contatti fra il boss barcellonese Calabrese Tindaro ed autorevoli esponenti della famiglia Lo Piccolo, fra cui in primo luogo Lo Piccolo Alessandro e Giuseppe.
Il Calabrese avrebbe coperto nel territorio di Montalbano, in provincia di Messina, la latitanza di Lo Piccolo Alessandro. Successivamente, anche a seguito di tali contatti, sarebbe stato concluso un vero e proprio accordo a Palermo fra la famiglia Santapaola di Catania, i Lo Piccolo di Palermo, ed i barcellonesi D’Amico Carmelo e Calabrese Tindaro.
Tale accordo consisteva nel fatto che da quel momento in poi si sarebbe verificato una sorta di “matrimonio”, nel senso che Santapaola Angelo per quanto riguarda la zona di Catania, Calabrese Tindaro e D’Amico Carmelo per quanto riguarda la zona di Barcellona, dovevano rendere conto direttamente ai Lo Piccolo di Palermo; tale accordo riguardava non tanto i proventi delle estorsioni, che ogni gruppo continuava a gestire autonomamente nell’ambito delle propria zona di competenza, ma gli accordi sulle ditte che dovevano lavorare nell’ambito degli appalti pubblici. In pratica si doveva instaurare un collegamento diretto fra le zone di Catania, Barcellona e Palermo in modo che si potesse individuare di volta in volta, tramite reciproci accordi, la ditta che doveva lavorare nell’ambito di un determinato appalto.
Sempre secondo le dichiarazioni dei collaboratori, in particolare di Gullo Santo, l’arresto dei Lo Piccolo dapprima, e successivamente l’omicidio Santapaola, avrebbe sancito il ritorno al “sistema di prima”, nel senso che sarebbero stati “tagliati i ponti con Palermo”.
Il ritorno al vecchio sistema comportava che i palermitani, i catanesi ed i barcellonesi rimanevano divisi ed ognuno avrebbe agito per proprio conto. Qualora fosse stato necessario avere dei contatti, ci si sarebbe rivolti a Sebastiano Rampolla (nel frattempo deceduto).
La conclusione della Relazione della DNA è particolarmente allarmante.
“Il tutto anche agevolato, e per certi versi pure determinato, dai gravi vuoti causati nelle fila della mafia dalla repressione dello Stato, che apre le porte all’ingresso nei sodalizi di nuove leve che, seppur non avulse dal passato anche per ragioni parentali o connesse alla lunga frequentazione e dimestichezza coi “vecchi” ed al riconoscimento del loro valore, certamente sono portatrici di un nuovo modo di intendere le cose del mondo criminale, modo di cui fa anche parte, trattandosi di persone pure più “disinvolte” e meno soggette agli antichi vincoli, la rivendicazione orgogliosa della autonomia territoriale”.
Parlando di operazioni contro i mafiosi e volendo, nello spirito del “se li conosci li eviti”, rendere noti ai nostri lettori tutti i nomi ed i volti dei mafiosi, citiamo le operazioni antimafia “Gotha 1 e 2”, “Pozzo 2” e “Gotha 3”, tutte sviluppatesi sulle “fascia tirrenica”.
Le operazioni, hanno condotto in galera diversi personaggi e, in data 28 aprile 2012 hanno visto la riunione dei procedimenti riguardanti le prime tre, con conseguente deposito della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Aquilia Mario, Barresi Filippo, Bucceri Concetto, Buzzanca Salvatore, Calabrese Tindaro, Calcò Labruzzo Salvatore, Cambria Francesco, Cannone Nicola, Dajcaj Zamir, D’Amico Carmelo, D’Amico Francesco, Di Salvo Salvatore, Foti Carmelo Vito, Foti Mariano, Fumia Enrico, Giambò Carmelo, Ignazzitto Francesco, Imbesi Ottavio, Isgrò Giuseppe, Mandanici Giuseppe Roberto, Marino Anna, Marino Tindaro, Martorana Roberto, Messina Francesco Carmelo, Munafò Nicola, Ofria Salvatore, Porcino Angelo, Puglisi Salvatore, Rao Giovanni, Scirocco Francesco, Trifirò Maurizio, per associazione mafiosa ed altri reati minori.
Altra importante indagine è stata Gotha 4 che ha permesso di evidenziare il tentativo, condotto con notevole “sforzo” dalla famiglia barcellonese, di ripristinare un efficace assetto organizzativo, in grado di far fronte alle sempre necessarie ed irrinunciabili esigenze di controllo del territorio.
In particolare, le misure hanno colpito i componenti del “gruppo” di Campisi Salvatore, operante nel territorio di Terme Vigliatore, ancora rimasti liberi dopo l’operazione “Munstra”, quali Crisafulli Carmelo e l’imprenditore Treccarichi Antonino. Ed, altresì, alcuni autorevoli esponenti del gruppo dei c.d. “Vecchi”, fra cui lo stesso Barresi Filippo, latitante fino al gennaio del 2013 a seguito dell’operazione “Gotha 1 e 2” e successivamente arrestato; Aliberti Francesco, imprenditore, soggetto fino a quel momento “insospettabile”, deputato a mantenere i contatti fra i vecchi esponenti dell’organizzazione e le c.d. “nuove leve”, nonché a detenere la cassa dell’organizzazione, in cui far confluire i proventi delle estorsioni; Mazzeo Antonino, detto “Piritta”, anch’egli imprenditore, rappresentante e longa manus, unitamente al defunto Perdichizzi Giovanni, del latitante Barresi Filippo.
Venivano inoltre raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in carcere per mafia alcuni soggetti appartenenti al gruppo di Perdichizzi, fra cui Gallo Vincenzo Vito, Scordino Antonino, Mazzù Carmelo, Alesci Santi, Mazzeo Fabio, Bucolo Salvatore, Munafò Massimiliano, Pirri Gianfranco ed altri ancora.
Le misure cautelari si estendevano anche nei confronti di diversi componenti del “gruppo D’Amico”, operante a Barcellona Pozzo di Gotto, storicamente facente capo prima a D‘Amico Carmelo e poi, dopo l’arresto di costui, al fratello D’Amico Francesco e ad Imbesi Ottavio, quest’ultimo cassiere del gruppo; fra i soggetti colpiti da provvedimento restrittivo si annoverano Micale Aurelio e Micale Gianfranco, detti “Chiocchio”, Chiofalo Domenico, Bagnato Antonino, Pirri Francesco ed altri ancora.
Ed, infine, venivano arrestati per associazione mafiosa quei componenti dell’associazione mazzarota ancora rimasti liberi sul territorio, quali Artino Salvatore (figlio di Ignazio), Rottino Stefano, Italiano Salvatore, Perroni Carmelo, Giardina Massimo, Impalà Giuseppe e altri ancora.
Tale gruppo fu dapprima diretto da Bisognano Carmelo, poi da Calabrese Tindaro e infine da Artino Ignazio, fino alla morte.
Così, l’operazione “Gotha 4” ha consentito di tagliare alla radice le “nuove leve” emergenti della famiglia barcellonese, impedendo quel fenomeno fisiologico di “successione” e di “rigenerazione” proprio di ogni organizzazione criminale dopo un’importante operazione di polizia che ne ha decapitato i vertici.