Mafia: pizzo e cemento a Trapani, manette a costruttore antiracket, Vincenzo Artale

Imprenditori collusi e imprese sequestrate. E’ questo lo scenario che fa da sfondo all’operazione antimafia eseguita tra Alcamo e Castellammare del Golfo. Al centro di tutto, il boss Mariano Saracino di 69 anni, gia’ condannato per essere ritenuto il tesoriere della cosca di Matteo Messina Denaro. Poi tra i destinatari di misure cautelative in carcere nell’ambito del’operazione “Cemento del Golfo”, ci sono Vito Turriciano, di 70 anni, Vito e Martino Badalucco, di 59 e 35 anni.

E, soprattutto, Vincenzo Artale, 64 anni, costruttore antiracket, ma che, secondo l’accusa, sarebbe stato agevolato dai boss che avrebbero imposto il suo calcestruzzo e la sua azienda. L’uomo, infatti, e’ noto per l’attivita’ dell’associazione antiracket di Alcamo, dal 2006 protagonista di numerose denunce contro alcuni esattori del pizzo. In quegli anni aveva subito l’incendio di una betoniera e nel giro di qualche settimana anche la profumeria della moglie entro’ nelle mire dei presunti emissari della mafia.

La vicenda nel 2009 assunse dei toni differenti, quando la Prefettura di Trapani – di concerto con il ministero dell’Interno e la Procura Antimafia di Palermo – boccio’ la richiesta di accesso ai “fondi riservati ai risarcimenti” presentata da Artale. In base all’inchiesta culminata stamane con gli arresti, il patto Saracino-Artale avrebbe alterato l’intero ciclo di produzione e commercializzazione del calcestruzzo attraverso minacce e violenze, acquisendo appalti pubblici come il rifacimento di un tratto stradale pubblico e forniture in cantieri privati. Saracino negli scorsi anni ha subito il sequestro di beni per 45 milioni e – secondo l’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Palermo Nicola Aiello – avrebbe continuato a fare impresa gestendo occultamente la Sp Carburanti srl, intestata ad una coppia di prestanome.

E’ stata dimostrata, rilevano gli investigatori dell’Arma, la volonta’ della mafia di Castellammare del Golfo di favorire Artale – che risponde di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, intestazione fittizia aggravata, furto e violazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno – per assicurargli una posizione dominante nel mercato del calcestruzzo.

Con intimidazioni venivano esercitate pressioni sui committenti di lavori privati e sulle ditte appaltatrici. In questo modo, l’ex imprenditore antiracket riusciva ad aggiudicarsi tutte le maggiori forniture nei lavori in zona, sia lavori privati, sia applati pubblici. Oltre alle cinque misure in carcere sono stati notificate sei informazioni di garanzia per intestazione fittizia di beni e favoreggiamento personale, per tutti con l’aggravante di avere agevolato Cosa nostra.

Diversi sono stati gli episodi estorsivi, anche con il classico metodo della ‘messa a posto’, accertati nel corso dell’indagine, alcuni dei quali venuti alla luce anche grazie alla collaborazione delle vittime. Nel corso dell’operazione e’ stata sequestrata la SP Carburanti srl, con sede legale a Castellammare del Golfo, considerata fittiziamente intestata a prestanome, ma riconducibile al clan locale. L’esito dell’operazione, scaturita dalle attivita’ investigative finalizzate alla cattura di Messina Denaro, sono frutto del meticoloso lavoro investigativo della Compagnia carabinieri di Alcamo e diretto dalla Dda di Palermo a partire dal gennaio 2013.

Due anni di complesse indagini che hanno permesso di far emergere l’attuale organigramma mafioso della cupola castellammarese operante in uno degli storici territori controllati da Cosa nostra trapanese. Zona caratterizzata da una recrudescenza di attentati incendiari ai danni di imprenditori del settore edile. Una serie di danneggiamenti ai mezzi e veicoli del movimento terra collocati in un contesto mafioso legato alla cosca di Castellammare del Golfo, parte del mandamento di Alcamo, che vede al vertice Mariano Saracino, gia’ condannato per associazione mafiosa, e da sempre legato al gruppo alcamese dei Melodia.

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