Modica, gli omicidi di Peppe e Antonio. La riflessione di Piero Torchi: la Città vuole verità, non presunti colpevoli

Si è finalmente articolato un dibattito a Modica sui recenti tragici fatti di cronaca. Riceviamo e pubblichiamo da Piero Torchi

Gentile Direttore,

ho assistito con grande interesse al dibattito sviluppatosi a seguito del tuo articolo sul quotidiano online da Te diretto, cosi come ho letto con grande attenzione il commento pubblicato da Emiliano Di Rosa, nel suo consueto gradevole stile, in ordine ai recenti fatti di cronaca che hanno turbato, e non poco la città. Sono consapevole, e lo rivendico con orgoglio, di essere stato tra coloro che hanno contribuito all’avvio del dibattito, grazie anche alla possibilità che i social danno oggi a chi magari altrimenti rischierebbe di non avere adeguata voce. L’ho fatto perchè sono stato particolarmente colpito dalle vicende che hanno toccato amici a me cari, ma anche da un osservatorio particolare che solo chi ha conosciuto la città, profondamente e nei suoi aspetti più reconditi, da sindaco, possiede; un osservatorio che, come sono certo potranno confermare quanti mi hanno preceduto e succeduto, ci è estraneo anche solo un attimo prima di “vedere” la città con occhi diversi come è a noi capitato. Ciò non significa, in alcun modo avere la verità in tasca, o peggio ancora, sapere cose che altri non sanno; significa semplicemente la capacità, e la possibilità di leggere fatti, singoli o nella loro complessità, i cui aspetti meno noti potrebbero a molti sfuggire. Condivido la lettura che Emiliano Di Rosa da dell’apporto fondamentale alla città dato dall’imprenditoria sana: senza tane donne ed uomini che hanno scommesso su se stessi, sulle loro capacità, sulle loro intuizioni, non saremmo quello che siamo, o che siamo stati; senza migliaia di famiglie per bene, onesti lavoratori, donne ed uomini che ogni giorno, con grade difficoltà e sacrificio, fanno il loro dovere, vivremmo in una città diversa, meno comunità e più dormitorio,Condivido anche ciò che tu per primo, e poi Emiliano nel suo pezzo avete stigmatizzato: vicende tanto gravi non possono esser lasciate all’interpretazione popolare, all’arte del “cuttigghiu”, da sempre particolarmente praticata, e neppure ai discorsi da bar, nonostante tutto ciò sia fisiologico ed appartenga a qualsiasi comunità strutturata. In questo sono molto più indulgente, proprio perchè conosco bene la città: a turno tutti abbiamo subito processi di piazza, interpretazioni fantasiose, ricostruzioni romanzate. Per tutti però è stato il tempo la migliore risposta: un tempo che ha consentito di ristabilire verità storiche e presunte responsabilità. Per questo non sarà sfuggito agli osservatori più attenti che nulla ho scritto sulla morte di Giuseppe e che dopo il post che ho scritto su Antonio, mi sono chiuso, anche in questo caso, in un attento, ma non distratto, silenzio.

Però una riflessione desidero farla; ed è una riflessione che potrà non essere condivisa, che potrà esser oggetto di polemiche, ma che spero e penso, possa fare chiarezza, non in danno di alcuno, ma a beneficio di tutti.

Vado con ordine:

1) La morte di Giuseppe, anzi l’omicidio di Giuseppe, ha riportato indietro la città di circa trent’anni, se la memoria di vecchio cronista non mi tradisce, ed è stato un autentico trauma per Modica, non solo per le modalità assassine, ma anche per la visibilità della vittima e per tutto ciò che dal giorno successivo all’omicidio è accaduto; un insieme di silenzi e di parole, forse eccessive, che hanno rischiato di offuscare le verità nascoste e complicare il lavoro degli inquirenti. Oramai appare chiaro, lo ricordava Emiliano, che non si tratta di un delitto passionale, ma di una questione legata agli interessi, forse anche alle attività che gravitavano attorno alla povera vittima; ed è altrettanto chiaro che l’ambiente nel quale si muoveva Peppe non era un ambiente neutro o estraneo alla vita di molti di noi. Ecco perchè il lavoro degli inquirenti, e la velocità delle soluzioni, appare ancora più importante: non solo per assicurare alla legge un assassino, non solo per restituire giustizia a Giuseppe, ma anche per capre, senza ombra alcuna di dubbio, di chi e di cosa possiamo continuare, o iniziare, a fidarci. “Seguire la pista che porta ai soldi” era il mantra di Falcone, ed anche in questo caso appare la via maestra per ogni soluzione. Chi sta lavorando, lo sta facendo in silenzio e con determinazione: adesso chiediamo anche velocità affinchè la città possa sapere se al suo interno si annidano cattivi “maestri”, o per spazzare via insopportabili sospetti a carico di innocenti.

2) La tragedia che ha colpito Antonio, la sua famiglia, i suoi amici ha una matrice differente, anche se, pure quì, la sofferenza economica ha svolto un ruolo fondamentale nella sua ferale scelta. E qui, iniziamo ad esser meno d’accordo per un paio di motivi; il primo, etico, riguarda la gestione delle aste giudiziarie, e la scelta di quanti decidono di partecipare alle stesse. E’ vero, se non partecipo all’asta, sarà il mio vicino a farlo e ad aggiudicarsi quella bella villa, o quel bel locale commerciale a un decimo del suo reale valore. Fin qui la matematica; l’etica, anche quella imprenditoriale è altra cosa. Se ho voglia di una nuova casa, di un magazzino più grande, di un locale commerciale, posso benissimo decidere di costruirlo, chiedere un mutuo ad una banca, persino comprarlo in un regime di libero mercato. Mi costerà di più, ma non avrò lucrato sulle sofferenze altrui; sarà pure una posizione romantica e poco pratica, ma la penso così, e non ho alcun timore a ribadirlo. Che poi le banche facciano il loro lavoro è pacifico; che la gestione delle aste giudiziarie è da tempo oggetto di attenzioni altrettanto, ma riguarda aspetti diversi che nulla hanno a  che fare con  la libera scelta di chi può, o non può, decidere di acquistare un bene all’asta. Certo in questa storia, come in tante altre, c’è anche la componente di imprenditori e privati per bene che hanno acquistato un bene all’asta per poi restituirlo a chi era stato sottratto, per aiutare anche economicamente chi non aveva più niente, per dare anche legalità ad un aiuto economico che altrimenti sarebbe stato difficile da giustificare. Ma in questa, come in altre storie, ci sono anche elementi di squallida invidia personale, di faide antiche, di storie lunghe e complesse, rispetto alle quali c’è poco da raccontare o aggiungere. Ecco perchè penso che tutti gli imprenditori per bene, anche alcuni di quanti oggi magari sono a sproposito chiacchierati, dovrebbero essere i primi a spingere per conoscere la verità; non solo metterebbe a tacere ogni pettegolezzo, ma renderebbe giustizia anche ad alcuni comportamenti onorevoli che fanno loro onore. Sono altri quelli che devono temere: quelli che hanno pasteggiato con le carni della vittima in vita, che hanno accresciuto le loro fortune comprando ad 1 un immobile che valeva 10, che hanno agito sempre all’ombra della legalità, ma che hanno utilizzato quella finta legalità solo come un comodo paravento.Glia altri non abbiano timore; chiunque ha successo sarà criticato sia per questi fatti tragici che anche per il semplice fatto che la mattina sorge il sole: è nelle cose e finirà co l’uomo. Però noi dobbiamo mostrarci diversi: non possiamo parlare di “lacrime di coccodrillo” ai funerali e poi non additare i coccodrilli, semmai li conosciamo; non possiamo parlare di “finti amici” o di “quanti hanno approfittato della vittima” senza indicarli se ne conosciamo i volti. Perchè altrimenti corriamo il rischio di essere come loro: e questa sarebbe la peggiore delle pene per ciascuno di noi.

Un’ultima riflessione la voglio spender su Paolo. Non capisco francamente cosa c’entrino questi fatti di cronaca con la voglia di delegittimare il suo lavoro, condivisibile o meno. Io per primo ho molte volte criticato alcune sue idee ed alcuni suoi teoremi; però l’ho sempre fatto dicendoglielo in faccia e non abbracciandolo in favore di telecamere per poi pugnalarlo alle spalle. Perchè così facendo, anche se non lo condividete, fareste il suo gioco. E questo a chi lo denigra, certo non interessa.Se Paolo è, e naturalmente ragiono per paradossi, l’omicida o il mandante dell’omicidio di Peppe, se Paolo copre gli autori dell’omicidio, se Paolo sa qualcosa che non ha detto agli inquirenti, allora avete ragione; se Paolo ha fatto del male in vita ad Antonio, se l’ha abbandonato nel momento del bisogno, allora avete ragione.Se Paolo deve essere solo buttato nel calderone del torbido che ammorba queste storie, allora non solo non avete ragione, non solo rafforzate Paolo ed il suo lavoro, ma siete parte di quel verme che ammorba il “melograno spaccato” di cui parlava Emiliano. Questa è una città fatta di persone per bene che qualcuno vorrebbe trasformare in una sorta di Sodoma e Gomorra per giustificare forse se stesso, forse il proprio operato, intorbidendo le acque, creando falsi sospetti, rilanciando voci sui “soliti noti” che magari stavolta sono gli eroi buoni e no quelli cattivi.Io, da umile e semplice cittadino, da spettatore, forse anche inerme, non lo consentirò, anche a costo di pagarne un prezzo, perchè quando si parla di queste cose un prezzo da pagare c’è sempre. E lo farà con l’unica “arma” che ho a disposizione: una volta la penna, oggi l’arida tastiera, senza alcuna velleità e senza alcuno scopo, perchè quei giorni sono definitivamente alle mie spalle. Lo devo alla mia città, alla Modica che ho servito ed amato, ai tanti modicani che mi hanno voluto bene, ed agli amici che non ci sono più. Non è più tempo di voltare le spalle.

Buon anno. 

Piero Torchi

1 commento

  1. Quando accadono tragedie simili siamo tutti bravi a dare giudizi ma poi scappiamo come vigliacchi e ci si nasconde per salvaguardare la tranquillità. Tutti tirano i sassi e poi nascondono la mano anche quelli che sembrano i migliori amici che prima ti sorridono e poi affondano il pugnale nella schiena. Oggi più che mai c’è bisogno di alzare i veli pietosi sopra tante faccende, accartocciare l’omertà e rendere trasparente l’operato di tanta gente detta “per bene” che semina silenzio.

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