Il Porto di Gioia Tauro rappresenta la principale porta d’ingresso della cocaina in Italia.
E’ questo l’assunto intorno al quale gira la Relazione annuale 2014 della Direzione Nazionale Antimafia relativamente alla ‘Ndrangheta.
Ma entriamo nello specifico della gestione del Porto più anarchico d’Italia, laddove non esistono regole (o se esistono vengono per lo più sempre aggirate), nido di corruzione, malaffare e criminalità.
Insomma, semplicemente il Regno della ‘Ndrangheta.
Il dato numerico, del resto, è impressionante: complessivamente, nel periodo 1 luglio 2013 – 30 giugno 2014 sono stati sequestrati nel porto di Gioia Tauro Kg. 1406,065 di cocaina.
Andando nell’analisi, nome per nome, troviamo importanti novità nella relazione 2014 della Dna.
Il Porto di Gioia Tauro è ormai diventato una vera e propria “pertinenza di casa” della cosca Pesce e dei suoi alleati (i principali: i Mancuso di Limbadi e i Bellocco pure di Rosarno, i Molè e i Brandimarte).
Iniziamo dalle sentenze “All Side” che hanno (all’epoca) demolito la forza della famiglia Pesce. Fra gli altri, infatti, sono stati condannati: Antonino PESCE, a 28 anni; Francesco PESCE (classe ’79) a 12anni; l’altro Francesco PESCE (classe ’84) a 21 anni; Francesco PESCE (cl. ’87) a 12anni; Francesco PESCE (cl. ’88) a 1 anno e 4 mesi; Giuseppe Pesce a 16anni; Giuseppina PESCE a 4 anni e 4 mesi; Marcello PESCE a 15 anni e 6 mesi; Maria Grazia PESCE a 7anni; Marina PESCE a 12 anni e 10 mesi; Rocco PESCE (cl. ’84) a 12anni; Salvatore PESCE a 27 anni e 7 mesi; Vincenzo PESCE (cl. ’86) a 16 anni e 8 mesi (20 anni).
Risultava, così, che alcuni dipendenti infedeli della “Medcenter Container Terminal S.p.A”. di Gioia Tauro, oltre a svolgere le normali attività, si dedicavano al recupero delle partite di cocaina dai container trasportati a bordo delle numerose cargoship in arrivo dal Sud America ed al successivo trasporto all’esterno dell’area portuale attraverso gli automezzi di servizio della medesima Società portuale.
Altra operazione degna di nota, giunta a sentenza, è “Crimine 3”.
Così emerge che il controllo della cosca dei Pesce sul Porto non era caratterizzato dalla sola capacità d’intervento, per così dire “chirurgico” sullo stupefacente in transito o in arrivo, finalizzato, cioè, ad estrarre dai cargo e dai container le tonnellate di cocaina inviate per farle uscire dal Porto; era, invece, ad un tempo, globale e minuzioso, diffuso e monopolistico su tutta la struttura portuale.
Il 24 luglio 2014 I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria – G.I.C.O., coadiuvati dal personale del Comando Provinciale Reggio Calabria, hanno tratto in arresto tredici persone, appartenenti ad una pericolosa organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tipo cocaina, giunta dal Sud America in Italia attraverso le strutture logistiche dello scalo marittimo di Gioia Tauro grazie alla complicità di alcuni dipendenti portuali.

L’organizzazione criminale era capeggiata da Giuseppe Brandimarte, ex dipendente della Società di gestione della banchina merci del porto, il quale, profondo conoscitore delle dinamiche operative all’interno dello scalo, proprio in virtù dell’esperienza maturata, poteva contare sull’assoluta ed incondizionata collaborazione di diversi dipendenti infedeli.
Gli altri arrestati sono stati: BRANDIMARTE Alfonso cl. ’77, SGAMBETTERRA Gianpietro cl. ’85, IETTO Mario cl. ’68, CAMBREA Vinicio cl. ’73, CARATOZZOLO Vincenzo cl. ’81, SIVIGLIA Francesco cl. ’73, CONDELLO Giuseppe cl. ‘70; GAGLIOSTRO Rocco cl. ’77 ; FEMIA Antonio cl. ‘81; CALABRÒ Antonio cl. ‘89; CRISAFI Vincenzo cl. ‘80; CAMPANELLA Antonio cl. ’87.
Il 21 ottobre 2014 sono stati arrestati tredici persone con provvedimento della Dda di Reggio Calabria, tra cui imprenditori a vario titolo collegati alle locali cosche di ‘ndrangheta. E’ stato anche eseguito il sequestro di 23 società per un valore complessivo di circa 56milioni di euro.
Gli arrestati: Pesce Salvatore, cl 88 Rao Gaetano, cl 55 Mazzitelli Marco, classe 83 Comandè Giuseppe, cl 83 Franco Domenico, cl 57 Franco Giuseppe, cl 60 Franco Antonio, cl 62 Rachele Francesco, cl 41, Rachele Salvatore, cl 78 Rachele Rocco, cl 68 Stilo Bruno, cl 66 Canerossi Domenico, cl 67, Filardo Nicola, cl 59.
Il Porto di Gioia Tauro, poi, è anche fondamentale per i rapporti criminali con le altre mafie, a partire da Cosa Nostra siciliana.
Potrebbe inserirsi in questo contesto l’omicidio di Michele Brandimarte, esponente di primo piano della ‘Ndrangheta (della famiglia Piromalli – Molè) ucciso in Sicilia, a Vittoria (Ragusa), il 14 dicembre del 2014.

L’omicidio di Michele Brandimarte è ancora avvolto nel mistero anche se un uomo, Domenico Italiano, si è costituito la notte fra il 14 ed il 15 auto accusandosi dell’omicidio di Brandimarte (LEGGI L’ARTICOLO).
per gli inquirenti sarebbe sempre più un fatto di “droga”. Proprio in questo caso si inserirebbe la morte di Michele Brandimarte ed il ruolo di spicco dei fratelli, all’interno della Famiglia Piromalli-Molè e nella gestione del Porto di Gioia Tauro.
Sembra avere poco rilievo la pista della faida interna alla famiglia. Va ricordato infatti (e parlando della instabilità lo si accenna anche nella Relazione della Dna) che è da poco cominciato il Processo d’Appello per la Faida fra i Brandimarte ed i Priolo.
La Procura di Palmi aveva chiesto l’ergastolo per Antonio Brandimarte, Vincenzo Brandimarte, e Giuseppe Brandimarte e Davide Gentile, e 14 anni di reclusione per Giuseppe Forgione e Giovanni Priolo.
Per gli inquirenti, gli imputati sarebbero stati i responsabili dei fatti di sangue che tra il 2011 e il 2013 hanno interessato Gioia Tauro. La scia di sangue sarebbe scaturita – secondo l’accusa – dall’omicidio di Vincenzo Priolo, freddato a colpi di pistola sulla Statale 111 nel luglio del 2011 da Vincenzo Perri.
La morte di Priolo, per la quale è stato condannato Vincenzo Perri, secondo l’accusa avrebbe dato il via ad una serie di delitti riconducibili ad una “faida” tra le due famiglie. Va ricordatto infatti (LEGGI L’ARTICOLO) che Vincenzo Priolo era sposato con Damiana Brandimarte (cugina di Vincenzo Perri e figlia del defunto Michele Brandimarte, ucciso a Vittoria il 14 dicembre scorso).
Proprio la relazione coniugale (poi interrotta con la separazione dalla Brandimarte), sarebbe l’origine della faida “per difendere l’onore della propria famiglia“.
Foto degli imputati, arrestati all’epoca dei fatti: