Noi siamo quello che mangiamo. Anzi quello che mangiamo e anche quello che hanno mangiato le generazioni che ci hanno preceduto. A sostenerlo (prove alla mano) sono gli esperti di epigenetica (la branca della biologia molecolare che studia le mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari non attribuibili direttamente al Dna). Esperti come il dott. Burgio, presidente del comitato scientifico ISDE, che insieme al dott. Scognamiglio, biotecnologo medico, hanno ribadito, numeri alla mano, che aveva ragione Feuerbach, il filosofo tedesco che, intorno alla metà del 1800, affermò: “Noi siamo quello che mangiamo”. È stato questo il titolo di un convegno organizzato a Palermo dal Kiwanis Panormus, presieduto dal dott. Conte.
Numerose ricerche e studi hanno dimostrato che la maggior parte delle patologie che si stanno diffondendo in modo preoccupante derivano dalle cattive abitudini alimentari, dallo stress, dal fumo, ma anche (per quanto sorprendente possa sembrare) dal comportamento e dall’alimentazione materna durante la gravidanza. Il corpo umano si adatta agli stimoli esterni e al cibo che si ingerisce. Ma la cosa più sorprendente è che non lo fa in tempi lunghi (come si pensava prima). I cambiamenti avvengono nel giro di pochi decenni. Il passaggio da una generazione alla successiva: basta che le madri pratichino (per i motivi più disparati – una crisi economica, un cambiamento climatico, campagne di marketing martellanti) una dieta diversa o conducano uno stile di vita stressato, perché ciò si manifesti sui geni dei figli. Tumori, malattie degenerative, problemi cardiaci e molto altro hanno spesso cause ben note: la cattiva alimentazione e l’ambiente in cui si vive. Le conseguenze per la società sono spesso disastrose. Basti pensare che l’obesità (e le malattie ad essa correlate) sono diventate più che un problema in molti paesi occidentali: negli Usa sono arrivate ad interessare oltre il 34 per cento della popolazione (un americano su tre è obeso). Una percentuale che sta cambiando il modo stesso di essere dell’uomo (se la maggioranza di una patologia raggiunge percentuali che superano il 50 per cento non è più una “anomalia”: diventa la normalità).
Eppure recenti studi hanno dimostrato che molte malattie causate dalla cattiva alimentazione potrebbero essere curate senza ricorrere ad alcun farmaco. Basterebbe seguire una alimentazione più corretta e uno stile di vita meno frenetico (si pensi al risparmio per le casse dello stato e per i contribuenti!).
Il problema è che la diffusione di alimenti alterati è spesso frutto di scelte industriali basate su materie geneticamente modificate e di uno stile di vita sbagliato. Nessuno ha pensato che sarebbe necessario anzi, indispensabile cambiare la dieta per evitare il diffondersi di tutta una serie di gravi malattie. Solo qualche blando consiglio o poco più. Poca roba specie considerando che gli effetti di queste misure spesso sono resi vani da snervanti campagne di marketing condotte dalle multinazionali del cibo che continuano pressare sui consumatori per spingerli ad ingurgitare “junk food” (cibo spazzatura).
Gli interessi delle multinazionali del cibo stanno alterando la natura stessa dell’essere umano: campagne di marketing sfrenate e incessanti convincono le persone a ingurgitare alimenti che provocano malattie gravi.
La prova è che di tutto ciò non si è parlato all’Expo 2015 appena concluso dove, invece di indirizzare milioni di visitatori verso uno stile di vita e un’alimentazione più sani, gli organizzatori hanno ceduto alle promesse (economiche) degli sponsor e hanno riempito i loro stomachi di tonnellate di fast food.
Per non parlare delle pressioni esercitate sui governi perché adottino norme che favoriscono alcuni prodotti. Esemplare il caso della direttiva comunitaria approvata nei giorni scorsi. Una norma che ha introdotto tra gli “alimenti” per l’uomo, oltre a insetti, larve e simili, anche sostanze interamente prodotte in laboratorio. Un regalo, secondo molti, per le multinazionali del cibo che, dopo il cioccolato senza cacao, il latte senza latte e il vino senza uva, potranno mettere in commercio prodotti totalmente sintetici o dotati di alterazioni senza alcun valore nutrizionale ma che servono solo a rendere “appetibile” o “attraente” ciò che non è affatto salutare.
È questo il grido d’allarme lanciato dai ricercatori durante il convegno organizzato dal Kiwanis Panormo. Un grido che è anche un invito rivolto agli studenti di alcuni istituti alberghieri, i cuochi di domani, coloro i quali, tra pochi anni, dovranno prendersi cura della salute della gente. E dovranno farlo sfruttando i risultati delle ricerche dell’epigenetica, ma anche delle tradizioni secolari che la mondializzazione sta cercando di cancellare.
C. Alessandro Mauceri