Oltre 220 affiliati, decine e decine di omicidi, continue estorsioni, intimidazioni, traffico di droga, rapporti con la politica (e con i politici): stiamo parlando del clan Trigila (o “Pinnintula”, se preferite), che prende il nome dallo storico capo – pluricondannato ed in galera da anni -, Antonino (detto Pinuccio) Trigila, ovvero “Pinnintula”.
Il clan Trigila opera nella zona meridionale della provincia di Siracusa (da Noto a Rosolini, passando per Avola e Pachino) e si inserisce nel più vasto cartello criminale “Aparo-Nardo-Trigila”, guidato da Sebastiano (detto Nello) Nardo ed a sua volta strettamente legato alla famiglia catanese di Cosa Nostra, diretta da Benedetto (detto Nitto) Santapaola.
E’ da anni oramai che la “longa manus” di Antonino (Pinuccio) Trigila rimane a comandare il clan, riconosciuto con diverse sentenze oramai passate in giudicato che hanno permesso di fare piena (o quasi) luce su decine di omicidi, estorsioni e azioni criminose.
La detenzione del capomafia Antonino (Pinuccio) Trigila inizia nel lontano 1993 ma per anni è rimasto lui il punto di riferimento per la gestione delle numerose attività delittuose portate avanti dagli uomini del clan, la cui potenza è stata data da almeno tre fattori:
- il primo è certamente il continuo utilizzo dei canali di approvvigionamento economico, tendenti allo sfruttamento parassitario delle risorse commerciali ed imprenditoriali presenti sulla zona (perchè i mafiosi, è bene ricordarlo, sono dei parassiti!). Il tutto favorito dalle pochissime denunce dei cittadini, sfruttati ed umiliati dalle attività del clan;
- il secondo è rappresentato dall’ampio numero di associati;
- il terzo dal forte raccordo con i capomafia di cui si accennava prima (Santapaola e Nardo);
I CAPI E LA FAMIGLIA TRIGILA
Il capo indiscusso per anni, come detto, è stato Antonino Pinuccio Trigila. All’ombra del boss di Noto sono cresciuti diversi esponenti che, di volta in volta, si sono succeduti al comando del clan, alternando i loro periodi di comando con quelli di carcere.
Parlando dei reggenti, non si può non parlare dei familiari di Pinuccio che ne hanno garantito il potere fuori dalle Patrie galere.
Innanzitutto i fratelli di Pinuccio, Corrado e Carmelo, ma anche Gianfranco che dei tre è certamente il meno carismatico ed il più spocchioso (con Carmelo oggi in libertà, ma con diversi procedimenti sul groppone).
Oltre ai fratelli di Pinuccio, riferimento certo per il capomafia nella gestione del clan è stato il figlio Giuseppe (anch’egli oggi in carcere), considerato uno dei più “feroci” e pericolosi dell’organizzazione criminale.
Per comprendere un clan che ha avuto nella linea diretta del comando la famiglia, non si può non fare un passo indietro e spiegarne le parentele.
La moglie di Antonino Pinuccio, donna fedele al marito nonostante diversi tradimenti di quest’ultimo quando era ancora in libertà (tanto per sfatare il “mito dell’onore” dei mafiosi!), si chiama Nunziatina Bianca.
I due, oltre a Giuseppe (nato il 13/1/1974), hanno altri due figli: Angela (sposata prima e separata poi, con l’odierno pentito, Piero Monaco ed oggi coniugata con Graziano Bonora) e Domenico (detto Mimmo) che morì in un incidente stradale con una moto rubata oltre dieci anni fa. Pinuccio – sempre per citare episodi di “uomini senza onore” – avrebbe anche un altro figlio, non riconosciuto, avuto con la moglie di un ex affiliato (all’epoca in galera) che ne faceva da autista.
Il fratello di Pinuccio, Corrado, ha due figli che meritano di essere citati: Giuseppe (anche lui con precedenti specifici ed oggi in libertà) ed una figlia, sposata con un rosolinaro, Vincenzo Cavallo (del quale parleremo più avanti).
I DIVERSI REGGENTI
Come si spiegava prima, all’ombra del boss Pinuccio Trigila sono cresciuti diversi esponenti che, di volta in volta, si sono succeduti al comando del clan, alternando i loro periodi di comando con quelli di carcere.
Nelle diverse indagini (Nemesi, su tutte) è emerso come un’altra caratteristica essenziale del sodalizio mafioso, sia stata l’assoluta capacità di mantenere sempre un elevato livello operativo, nonostante la perdurante detenzione (come nel caso dell’Albergo, scarcerato solo all’inizio del 2007) o l’arresto (come nel caso del Crapula e del Monaco) di elementi di spicco dello stesso, garantendo sempre e comunque il totale controllo delle attività illecite, nonché il mantenimento degli affiliati detenuti.
Ruoli apicali hanno esercitato: Angelo Monaco, Michele Crapula, Waldker Albergo (detto Rino), Salvatore Giuliano e Antonino Distefano.
Tutto funziona con precisione svizzera, tanto che gli interessi dei reggenti, di volta in volta, venivano curati in modo diretto da loro stretti familiari, dimostrando in tal modo la loro intraneità all’associazione mafiosa e la perfetta conoscenza delle logiche e delle gerarchie della stessa, con i soggetti preposti alla reggenza esterna del clan mafioso.
Esempi, sui quali torneremo singolarmente, sono costituiti dal suocero Aurelio Magro e dal cognato Paolo Golino, per quanto attiene a Michele Crapula e dal figlio, Corrado Albergo, per quanto riguarda Waldker (Rino) Albergo. Oppure dal figlio, Piero, o dal genero, Paolo Mirmina Spatalucente (prima in galera col suocero, poi scarcerato con accusa caduta), per quanto riguarda Angelo Monaco.
CHI COMANDA OGGI?
Il potere di Trigila, nell’ultimo periodo, sembra messo a serio rischio da nuovi equilibri.
Già da qualche anno, come rivela il collaboratore di giustizia, Corrado Di Pietro, c’è una situazione di forte conflittualità fra le diverse anime: da un lato la componente direttamente riconducibile al capo clan detenuto Antonino Pinuccio Trigila e dall’altra quella facente capo a Waldker (Rino) Albergo ed a Michele Crapula.
Proprio a causa della detenzione di entrambi, sembra esserci una pax sottoscritta fra i Trigila e gli Albergo, nelle persone dei diretti parenti, tale da assicurarne il perdurare di interessi congiunti, senza esser costretti all’utilizzo delle armi che, va ricordato, provocherebbe un ulteriore innalzamento dell’attenzione da parte degli Inquirenti.
Su tutti però si fa strada uno storico boss, prima relegato a comandare “solo” nella sua Pachino (e Portopalo) ed oggi, in quanto libero, in continua ascesa su tutto il territorio del netino: Salvatore Giuliano.
Va detto che ruolo fondamentale nella comprensione delle dinamiche mafiose del territorio lo sta esercitando il collaboratore Piero Monaco (già genero di Pinuccio Trigila) e i frutti della sua collaborazione, probabilmente, si potranno apprezzare prossimamente.
Proprio per comprendere i diversi comuni, andiamoli a vedere uno per uno, con una “prima” infarinatura generale.
NOTO
A Noto vige la “tregua”, come si accennava prima, fra i Trigila e gli Albergo.
Su tutti rimane la “messaggera” dello storico capo, la moglie Nunziatura Bianca (va ricordata l’indagine che nel 2013 portò in carcere un cancelliere che forniva proprio alla moglie di Trigila informazioni sensibili su indagini in corso – LEGGI ARTICOLO) e l’altra “messaggera”, la figlia Angela (oggi sposata con Graziano Bonora). Oltre alle due donne, sta cercando di ritagliarsi uno spazio importante, nell’ambito dell’impresa legata alla pastorizia, il figlio di Corrado Trigila, Giuseppe, anch’egli in libertà.
Su Noto, versante estorsioni (soprattutto per la costruzione dell’autostrada, lo vedremo in un prossimo articolo), troviamo Angelo Monaco, già consuocero di Pinuccio Trigila, in quanto padre del pentito Piero. Accanto ad Angelo Monaco anche il genero (prima arrestato con lui, poi scarcerato con accusa caduta), Paolo Mirmina Spatalucente.
Dall’altro lato il “gruppo Albergo” con, su tutti, il figlio di Waldker, Corrado (non macchiato da reati di mafia, va sottolineato ed assolto con formula piena per la questione del chiosco di Noto).
Va ricordato che in città insistono i “Caminanti” che, da sempre, hanno uno storico rapporto di condivisione di interessi con i Trigila.
Il dato dell’esistenza di un intimo legame tra il clan “Trigila” ed esponenti del gruppo nomade dei “Caminanti” di Noto, è dato dal rapporto (conclamato nell’indagine e nel successivo processo “Nemesi”) con i Sesta, Filippo il padre e Biagio, il figlio.
Proprio i Trigila ed i “Caminanti” avrebbero consentito a politici locali di conquistare voti con elementi idonei ad ipotizzare, a loro carico, il reato di scambio politico-mafioso (anche questo lo vedremo in un prossimo articolo specifico, mica vorrete sapere tutto subito!).
Sulle estorsioni ritorneremo ma, parlando di Noto, non si può non far riferimento a Sebastiano Catania ( detto “Iano ra muntagna” o “Iano cientu capiddi”) e, soprattutto, a Giuseppe Crispino (dette Peppe u barbiere).
AVOLA
“Ad Avola comanda Crapula”. E’ questa una delle ricorrenti affermazioni quando si parla di mafia ad Avola.
Michele Crapula, con la sua famiglia ed i suoi “aficionados”, ha rovinato l’immagine della città, sfruttando l’omertà della gente (e le consequenziali mancate denunce) e la propria forza d’intimidazione.
Avola merita un discorso a parte (che faremo più avanti in un altro articolo) per la capacità di Michele Crapula di dominare non solo l’economia illegale, ma anche di inserirsi in quella legale.
Così come per Pinuccio Trigila, anche Crapula è riuscito a comandare in città grazie ai suoi familiari che ne consentivano, durante i periodo di soggiorno nelle Patrie galere, di continuare a dominare la scena.
Crapula ha preso il posto ad Avola (come reggente) del suocero (oggi defunto) Aurelio Magro. I messaggi del boss arrivavano fuori anche grazie al cognato di Michele, Paolo Golino, meccanico coinvolto nell’operazione Nemesi. Crapula è sposato con Vera Magro e ha tre figli: Cristian, Rosario e Desire (sposata a sua volta con Ciccio Giamblanco).
Solo a titolo di esempio (prossimamente spiegheremo meglio le dinamiche, occupandoci anche delle ville da nababbo che i Crapula abitano), citiamo il “Waikiki bar”, attività imprenditoriale che i Crapula (il figlio Cristian, su tutti) hanno rilevato.
Proprio dall’indagine Nemesi si evince come Crapula abbia continuato a percepire per il tramite dei suoi congiunti (in particolare il suocero Aurelio Magro, ma anche il cognato Paolo Golino) “un’ingente percentuale su tutti i proventi delle attività illecite, oltre ovviamente a tutte le spese di assistenza legale”.
Per meglio comprendere l’ostentazione del potere di Michele Crapula ad Avola, basta citare l’episodio del matrimonio della figlia Desire con Ciccio Giamblanco. In quella occasione, come dalle foto che pubblichiamo (estratte dal profilo aperto della donna, utilizzato – come facilmente dimostrabile – da tutta la famiglia), fu massima l’ostentazione dell’arroganza del potere del boss, ad iniziare da piccoli segnali – come il manico di bastone utilizzato – fino alle presenze “illustri”.
Le attività illegali svolte nel territorio di Avola sono innumerevoli, si va dalle estorsioni ai privati, fino a ditte della nettezza urbana ed i lavori dell’autostrada.
Infine non va dimenticato il ruolo di Marco Di Pietro (detto Marco Motta) e di Corrado Ferlisi (detto Currau m’arrabbiu, oggi collaboratore di giustizia) sia nel settore delle estorsioni che in quello della droga. Il Di Pietro, oggi in galera, è considerato come soggetto pericoloso e di grande carisma e, uscendo dal carcere, potrebbe assumere il comando ad Avola, scontrandosi proprio con il Crapula. Infine va citato un altro soggetto ritenuto intraneo al clan proprio ad Avola, Corrado Caruso (detto Nuzzu ciuscia luci).
PACHINO (E PORTOPALO)
Salvatore Giuliano. E’ lui il “dominus” di Pachino, riconosciuto come storico capoclan, oggi è, dei personaggi più carismatici del sodalizio, l’unico in libertà.
Giuliano ha da sempre comandato su Pachino (ed anche su Portopalo), stando ben attento a non pestare i piedi ai catanesi per quanto riguarda il mercato del pesce.
Fra le attività più fiorenti dell’organizzazione criminale a Pachino, oltre alle sempre presenti estorsioni, da segnalare il traffico dei stupefacenti.
Per tanti anni il luogotenente di Salvatore Giuliano è stato Salvatore Cannata, invece oggi alle dirette dipendenze del boss, nella linea di comando, un ruolo fondamentale lo rivestono i due fratelli Aprile, Giovanni e Giuseppe.

Altra importantissima attività a Pachino è certamente quella del gioco illegale: dalle macchinette “video poker”, fino alle bische clandestine, fonemi questi ultimi che garantiscono ingenti guadagni al clan. In passato un “gestore” era Corrado Cirinnà, poi tratto in arresto per altri reati (zio di Corrado Caldini, ucciso con Rosario Spatola dal clan Trigila).
Infine, ma lo spiegheremo meglio in un prossimo articolo, il boss Salvatore Giuliano avrebbe cercato di inserirsi nelle recenti elezioni (2014) amministrative, facendo convergere i voti del clan su un candidato a Sindaco e su alcuni candidati al Consiglio Comunale.
ROSOLINI
Rosolini rappresenta uno snodo fondamentale per i clan (il plurale lo si capirà più avanti): da un lato l’importanza del comune aretuseo più vicino alla provincia di Ragusa, dall’altro la possibilità di coinvolgere in città diversi “colletti bianchi” (professionisti rispettati ed insospettabili al soldo del clan) e, in ultimo, la possibilità di influenzare le elezioni con importanti aiuti, di volta in volta, a questo o a quell’altro candidato (non solo per le elezioni amministrative).
Da non dimenticare, sempre sul piano degli investimenti mafiosi, l’importante affare del centro commerciale alle porte della cittadina, del quale ci siamo occupati tempo fa (LEGGI ARTICOLO).
Entrando nello specifico: il reggente in città sembra essere Gianfranco Trigila (il fratello più “babbu” di Pinuccio, Corrado e Carmelo). Gianfranco gode dei proventi delle estorsioni e della droga, gestendo Rosolini come un feudo della famiglia Trigila.
Sotto Gianfranco, l’uomo “tutto fare” è certamente Giuseppe Crispino (detto Peppe u barbieri) che raccoglie per il clan le estorsioni in città – come fa, ma in percentuale minore, negli altri comuni che abbiamo trattato. Sempre Crispino si occupa, come riferiscono diversi collaboratori di giustizia, del traffico di cocaina.
Ruoli di assoluta importanza rivestono altri due soggetti: il primo è Nino Rubbino (addirittura qualcuno lo indica come presunto reggente), il secondo è Vincenzo Cavallo.
Nino Rubbino, con un passato burrascoso, gestisce un’agenzia funebre in città (con i soldi dei Trigila?).
Vincenzo Cavallo è il genero (leggasi sopra) di Corrado Trigila, cioè il marito della figlia. Sulle questioni di Rosolini, proprio per il grado di parentela che lo stesso può vantare con i “capi”, Cavallo sarebbe “ascoltato”, nonostante il maldestro tentativo (se non ci fosse da piangere per le conseguenze, sarebbe da ridere per la stupidità!) di incendiare la casa di un carabiniere che gli costò lo sfregio al volto (ancora oggi permanente).
Paralleli a Crispino, con autonomia derivante – secondo i “bene informati” – da un’altra linea di comando, troviamo Bruno Monti e Massimo Di Mare.
Altro soggetto molto vicino ai Trigila su Rosolini è Franco Latino, compare di Peppe Trigila (figlio di Pinuccio).
Per quanto riguarda la gestione della droga, da citare due persone: Corrado Latino (detto Girasella, che gestiva la “piazza” con Antonio Scifo, poi pentitosi), già coinvolto in vicende giudiziarie ed un ex (importante) politico che gestisce la cocaina anche fuori città, fino a Modica, del quale presto parleremo.
Infine, diversi, proprio a Rosolini, sarebbero gli imprenditori prestanome del clan Trigila. Di questi, così come dei rapporti con la politica ed i politici cittadini, ci occuperemo nei prossimi articoli.
Con questo articolo, infatti, abbiamo inaugurato una serie di inchieste giornalistiche che realizzeremo sulla Provincia di Siracusa.
Borsellino affermava: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene…”.
Noi cerchiamo di offrire il nostro contributo per la ricerca della verità giornalistica, le Forze dell’Ordine ed i Magistrati lavorano alacremente per estirpare questo cancro mafioso. Sta, però, alle persone rendersi conto di chi siano questi parassiti sociali e decidere da che parte stare.
Per la serie: conoscere per riconoscerli, denunciarli e non abbassare mai la testa!
APPROFONDIMENTI SUCCESSIVI:
Salvatore Giuliano a Pachino ———————————–> LEGGI
Michele Crapula e la casa (che fu) del boss ——————-> LEGGI
Le tante scomparse “irrisolte” nel netino ———————-> LEGGI
Noto, dai Trigila agli eletti nel 2011 con i voti della mafia? —> LEGGI
Il “bisiniss” della droga tra i Trigila e gli ndranghetisti Sergi –> LEGGI
Le estorsioni negli appalti pubblici del clan Trigila ————> LEGGI
Uomini senza onore e pieni di soldi: gli stipendi del clan Trigila –> LEGGI
Bravo Paolo Borrometi questo è fare il lavoro del giornalista, scoperchiare antiche connivenze e riuscire a fare chiarezza sulle economie sommerse che affogano il nostro Meridione, economie malavitose che sono la causa della nostra crescita lenta. delle due velocità del Paese, finche vi è un giornalismo connivente vi sarà una società connivente ed in silenzio, che sa e che non parla, che vede e non guarda,
[…] da lui indicato come “il dominus” e lo “storico capoclan di Pachino” in un articolo (leggi) pubblicato sul suo giornale on line. L’articolo descrive – con nomi e foto – il clan […]