Omicidio Brandimarte: sempre più un “affare” di droga. Gli inquirenti vicini alla svolta

Un continuo e certosino lavoro, quello degli inquirenti di Polizia di Stato (Squadra Mobile) e dei Carabinieri di Ragusa, con delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, per risolvere il caso relativo alla morte del boss della ‘ndrangheta Michele Brandimarte, ritenuto appartenente alla famiglia Piromalli-Molè, avvenuta a Vittoria la sera del 14 dicembre scorso.

Va ricordato che Domenico Italiano, reo confesso killer di Michele Brandimarte, si è costituito la sera stessa del delitto intorno alle ore 23,30 presso il Commissariato di Gioia Tauro (LEGGI L’ARTICOLO). 

Brandimarte, secondo le ricostruzioni, sarebbe partito da casa propria alle 11,15 di domenica 14 dicembre. 

I fratelli Italiano lo avrebbero “prelevato” da casa, citofonandogli. L’uomo avrebbe detto alla famiglia di “ritornare nel pomeriggio”. 

Michele Brandimarte ok laspiaCosì avrebbe avuto inizio l’ultimo viaggio di Michele Brandimarte verso la Sicilia dove, come nel caso di Domenico Italiano, sarebbe stato in altre occasioni.

Tutto sino alle ore (circa) 19 di quella drammatica domenica quando, secondo l’auto denuncia di Domenico Italiano, Brandimarte sarebbe “stato sparato” dopo una lite, in pieno centro a Vittoria. 

Ma la pista della lite per futili motivi davvero non regge. 

Così gli inquirenti e la dottoressa Valentina Sincero, sostituto della Dda di Catania che segue il caso, hanno interrogato proprio il fratello di Domenico Italiano per capire che ruolo lo stesso avrebbe avuto nell’omicidio.

Molti punti sono ancora oscuri nell’omicidio: da alcuni effetti personali di Brandimarte mai ritrovati (cellulare su tutti) al movente ancora non chiaro, così come i complici che Domenico Italiano avrebbe avuto a Vittoria (non è ipotizzabile che abbia fatto tutto da solo con la unica collaborazione del fratello) o, ad esempio, da chi fosse stato armato lo stesso Italiano (la pistola, una calibro 9, è stata consegnata agli inquirenti). 

Rimane sul banco e da chiarire chi passeggiasse con i tre (Michele Brandimarte, Domenico Italiano e suo fratello) quella sera a Vittoria (magari con il titolare di qualche ditta di trasporti?).

Anche il ruolo della famiglia di Michele Brandimarte appare poco chiaro. Se l’uomo avesse detto di ritornare a casa “nel primo pomeriggio”, perché nessuno si è insospettito del mancato ritorno sino al tardo pomeriggio, momento in cui è arrivata la notizia della morte?

La famiglia Brandimarte, va ricordato, è stata coinvolta sin dal 2011, in una faida (cosiddetta di Gioia Tauro) con i Priolo, altra famiglia imparentata con i Piromalli (LEGGI L’ARTICOLO).

Non sembra a rigor di logica questa la “vera pista” che ne giustifichi l’omicidio.

La pista sulla quale gli inquirenti sembrano “battere” con maggiore efficacia le proprie indagini (dopo aver valutato qualsiasi altra pista) sembra proprio il traffico di droga.

Va ricordato, infatti, che i fratelli di Michele, Giuseppe e Alfonso Brandimarte, vennero tratti in arresto l’estate scorsa nell’ambito dell’operazione “Puerto liberado” condotta dalla Guardia di finanza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e che portò alla luce l’esistenza di un gruppo che gestiva l’importazione di cocaina dal Sudamerica, attraverso il porto di Gioia Tauro.

Quindi Michele Brandimarte è plausibile commercializzasse la droga in questa parte di Sicilia, cioè in luoghi ad altissimo consumo e dove gli affari sono sempre molto “interessanti”.

Ma con chi la commercializzasse, tramite chi (magari proprio gli Italiano?) sono altri quesiti sui quali si cerca una risposta, mentre sembra sempre più ovvio che lo si facesse in nome e per conto dei “Piromalli-Molè”.

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