Perché i giovani scelgono la Danimarca? Per rispondere ci sono andata!

danimarca 4Di ritorno da un viaggio in Danimarca, non posso non scrivere di ciò che ho visto, pensato, scoperto nelle due settimane in cui Aarhus, la seconda città più popolosa della nazione danese, si è trasformata in una seconda casa. Posso affermare di averla vissuta non da turista bensì da “cittadina” perché ospitata da chi lì ci ha messo radici. In questi giorni ho conosciuto italiani che in Italia non avevano trovato spazio, e raccolto le loro impressioni. Loro che non si definisco “cervelli in fuga” quanto piuttosto adulti che vogliono costruirsi un futuro e non tirare la giacca a un politico o aspettare che le cose cambino quando in realtà la speranza è illusione intrisa di certezza che ciò non accadrà perché il sistema è marcio.

Nelle nostre università avevano visto svanire il sogno dell’assegno di ricerca in nome di chi aveva “maggiori” referenze; avevano inviato cv fieri delle loro qualifiche ma forse erano indegni anche di un messaggio di risposta. Oggi, dall’alto delle loro posizioni, chi responsabile in un ufficio marketing, chi professore ordinario in una università che gli permette di tenere i corsi in lingua inglese, non rimpiangono nulla se non la cucina di mamma o il caldo sole. Stagisti in fuga che al primo bonifico di stipendio avevano esultato e, paradossalmente, si sentivano in colpa per aver ricevuto soldi in cambio di un eccellente lavoro. Già, perché in Italia ti inculcano che prima c’è la gavetta, che sai quando inizia ma non quando finisce; che devi sudare anni e poi forse ti guadagni il posto al sole; che non tutti i lavori meritano di essere retribuiti, specie quelli in cui la professione è intellettuale, così quando ti va bene, puoi accontentarti di una pacca sulle spalle o ambire all’amore per la “gloria”, vana.

danimarca 3Invece a Aarhus i giovani prima vengono tutelati dallo Stato che li paga per studiare all’università, li mantiene quasi come fosse un genitore misericordioso che vuole il meglio per loro, poi offre opportunità di lavoro e da quel lavoro chiede le tasse eque per mantenere i soggetti che ne hanno bisogno. In Italia la disoccupazione giovanile sfiora il 44%, merito dei nostri governi, uno peggiore dell’altro, che propinano riforme fittizie del fare, e poi non fanno. Colpa di chi usa la stampa solo per screditare, mai per divulgare; o di un elettorato più interessato al gossip del singolo che al programma di un’intera coalizione.

In Danimarca ho assaporato il piacere della civiltà e compreso cosa significherebbe avere uno Stato efficiente e non tiranno. In aeroporto a Billund tra i servizi offerti e gratuiti ha primeggiato la connessione libera wifi che mi ha accompagnato nel bus per l’intero tragitto Billund- Aarhus in cui, oltre alla connessione, ho notato prese di corrente a disposizione dei passeggeri per caricare eventuali apparecchi elettronici, e la divisione del bus in due aree. La prima per tutti; la seconda, invece, la “stillezone”, riservata a chi non parla al telefono o col vicino e quindi può riposare tranquillamente nelle ore che lo separano dalla meta d’arrivo.

Il piacevole stupore all’arrivo mi ha accompagnato per tutto il viaggio: notavo come quasi tutti i negozi del centro esponessero i prodotti in cestoni che adornano vie e vicoli; in Italia è una pratica che a momenti non si può fare perché o ti tacciano di occupare il suolo pubblico se non hai l’autorizzazione o rischi di trovare la cesta svuotata perché chiunque prenderebbe, senza pagare.

Un momento intimo come quello di un passaggio dalla toilette a Aarhus era quasi un piacere. Da brava italiana entravo nei bagni dei locali con tanto di borsa e fazzoletti a seguito; ogni volta la stessa incredulità nel trovare un sala ordinata, salviette, carta igienica, sapone, ambiente profumato e mai della carta per terra o un wc sporco. Mai. Mai pavimento “allagato” (e non d’acqua), come capita da queste parti. Mai, dico mai, se non in stazione dove i bagni sono a pagamento perché dotati di un nuovo sistema di ingresso, ho dovuto sborsare corone danesi: cosa che in Italia accade perfino in alcuni bar in cui i proprietari speculano sui “bisogni” della gente.

Molti condomini sono dotati di grandi vetrate che lasciano vedere all’esterno l’intero appartamento, camera da letto inclusa. Quasi come se il privato fosse comunque tutelato dall’altro. “Non fissare” ammonivano i miei amici. Loro non guardano. Ognuno vive sereno così e in questo modo si sfrutta completamente la luce del sole. E anzi, qui si arredano le finestre con le cose più preziose per deliziare i passanti con oggetti, fiori, libri, decori che possano provocare piacere alla vista.

danimarca 2In Danimarca la “Ferrari de noiantri” è una splendida due ruote, magari usata, che non inquina e mantiene in forma. Sì, perché lo sport lì fa parte delle sane abitudini e le piste ciclabili arrivano fino in periferia, anche in strade in cui il passaggio è vietato alle autovetture, consentito solo a bus e biciclette. I bambini, invece, giocano sereni nei parchi o negli spazi creati ad hoc nei centri commerciali. Ho visto bimbi allontanarsi dai genitori per metri, o aspettare al tavolo mentre il padre prendeva da mangiare. Tutto senza paura, frenesia, ansia che qualcuno potesse rapirli; genitori tranquilli e non come siamo ridotti noi, spaventati da ciò che sentiamo al tg, dai rapimenti agli scippi alle violenze.

In Danimarca, anche il commesso al supermercato parla perfettamente l’inglese, e da laureata in lingue quale sono, mi sono chiesta quale valenza potesse avere il mio titolo se confrontato con un nativo danese che l’inglese lo mastica sin dall’infanzia grazie anche alla televisione e ai programmi o film trasmessi in inglese e sottotitolati in danese.

In Danimarca ho visto cose che in realtà non erano straordinarie perché facenti parte di quell’ordinario che in troppi nel nostro Paese hanno dimenticato. Non voglio dire che Aarhus sia la città più bella del mondo, ma che è una classica cittadina del Nord in cui ti rendi conto di quanto la semplicità, la genuinità e la coerenza portino la gente a vivere meglio. Di quanto rispetto e gentilezza siano parte di un dna sano.

Da italiana e siciliana quale sono, rimango maledettamente innamorata e legata alla mia terra, ma le esperienze di viaggio accumulate nelle mia vita mi danno sempre nuovi spunti per riflettere e costringono a non tacere. Civiltà e buone maniere sono concetti gratuiti e facili da applicare: mi piacerebbe che questo desiderio di “quieto vivere” divenisse parte della nostra Cultura. Già, perché la cultura non è solo quella di cui ci vantiamo o che ci contendiamo per definire la nostra città capitale della cultura. Capitale de che? Se poi gli atti vandalici occupano intere pagine di cronaca locale e nazionale. La cultura, a mio avviso, è tutto: dal quadro al libro al monumento ai gesti concreti della gente che fanno sì che chi viene, anche un qualsiasi turista, si innamori del luogo ma soprattutto della sua gente tanto umile quanto rispettosa. La cultura è anche il viaggio: se di questo si conservano gli aspetti migliori che, condivisi, possano contribuire a rifondare una civiltà migliore.

 

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Trenta gli anni compiuti, ma più di venti quelli che segnano la sua passione per la scrittura. Nata a Modica, cresciuta a Rosolini, espatriata per studio, assetata di sapere. Dopo un peregrinare tra Bologna, Bruxelles e Parigi e una laurea in lingue, è tornata in Sicilia per scommettere sul Sud. Freelance per un sito di salute e benessere, cura delle rubriche per un quindicinale siciliano, da poco imprenditrice di una start up sul turismo, e nel cassetto tra bracciali e appunti vari, ha un sogno, un libro. Nell’attesa dell'ispirazione e del parto creativo, segue la moda e le tendenze, si è abilitata all’insegnamento e si dedica al suo quadrupede, un bassotto, che porta il nome di una rivista, Elle, e a una gattina randagia che è più civile di molti uomini, la Ragatta. Fondamentalmente odia le saghe, le seghe mentali e le trilogie. Guarda pochi film perché, vivendo il territorio, si è resa conto che di registi in giro ce ne stanno tanti. Troppi.

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