Il Ponte sullo Stretto, l’opinione degli esperti: dalle “parole ai fatti”

Riceviamo e pubblichiamo un’interessante analisi tecnica sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto a firma del Dr. Mario Mattia (Primo Tecnologo INGV Osservatorio Etneo) e del Prof. Carmelo Monaco (Ordinario di Geologia Strutturale – Università di Catania).

Discutere di argomenti tecnico-scientifici che riguardano una grande infrastruttura come il Ponte sullo Stretto e, soprattutto, rendere questi aspetti di facile comprensione anche al di fuori dell’Accademia e del complicato mondo delle pubblicazioni scientifiche non è facile. D’altro canto, in un momento come questo, nel quale l’argomento Ponte è tornato d’attualità, ci è sembrato doveroso almeno provarci. I risultati giudicateli voi.

La nostra storia parte nel lontano inverno del 1909, allorché il Regio Istituto Geografico Militare decise che era necessario ripetere le misure di livellazione sulle due sponde dello Stretto di Messina, da poco sconvolte dal catastrofico terremoto del 28 Dicembre 1908. Le misure di livellazione sono, in estrema sintesi, misure di differenza di quota tra una serie di capisaldi e servono per una serie di ragioni di primario interesse topografico, geodetico e scientifico in generale. A svolgere queste campagne di misura, rese difficilissime dallo stato disastrato di strade e ferrovie lungo le quali si articolava il circuito di livellazione, fu chiamato Antonio Loperfido, Geodeta Capo dell’Istituto, docente di Geodesia all’Università di Torino e autore di importantissime campagne per l’inquadramento cartografico delle colonie italiane. I risultati del confronto tra la campagna del 1909 e le precedenti campagne, svolte 10 anni prima sulla sponda siciliana e pochi anni prima sulla sponda calabra furono inquietanti: in seguito al terremoto, alcuni capisaldi della rete, soprattutto sulla sponda siciliana, mostravano variazioni negative fino a 70 centimetri e, in generale, entrambe le sponde dello Stretto mostravano quella che in termine tecnico viene chiamata “subsidenza” ovvero uno sprofondamento del terreno. Solo nella Calabria del Nord i valori di quota mostravano variazioni positive, mentre sul lato siciliano, sposandosi verso ovest rispetto alla citta di Messina, le variazioni si azzeravano. L’importanza scientifica di queste misure è stata fondamentale per la ricerca della faglia che ha originato il terremoto di Messina e Reggio (che, lo ricordiamo, causò la morte di oltre 70.000 persone), visto che non erano visibili sul terreno tracce evidenti di quella faglia. In termini tecnici si dice che non era chiaramente distinguibile un “paesaggio sismico”, ovvero quei segni sul terreno che aiutano i geologi a definire posizione, dimensione e direzione della faglia origine di un terremoto. In seguito allo sviluppo degli strumenti matematici a disposizione della geofisica, negli ultimi quarant’anni si è assistito al proliferare di pubblicazioni che ricostruivano tutti i principali parametri della faglia origine, ivi compresa la sua posizione. In parole semplici, venivano utilizzate apposite formule matematiche che permettevano, conoscendo gli “effetti” del terremoto (le variazioni di quota), di risalire alla faglia origine. Molte furono le differenti proposte e, naturalmente, l’aumento della potenza e della velocità di calcolo hanno inciso molto sui risultati di questa ricerca. All’inizio di questo secolo, però, molte erano le pubblicazioni che convergevano su una particolare faglia, cosiddetta “cieca”, ovvero che non ha una espressione chiara in superficie, orientata circa Nord-Sud, che “taglia” il bordo messinese dello Stretto per una estensione di una trentina di chilometri. Altra caratteristica interessante era il basso angolo con cui questa faglia immergeva al di sotto della crosta, verso la sponda calabra. Su questa faglia, secondo gli autori di quei lavori scientifici, si concentrano tutti le forze che agiscono in questa regione critica del Mediterraneo e, cosa molto importante, periodicamente sempre la stessa struttura rilascia tutta l’energia accumulata attraverso un terremoto “tipico” che avrebbe tempi di ritorno di oltre mille anni (il cosiddetto “terremoto di progetto”). Essendosi verificato il terremoto solo cento anni fa, dunque, una eventuale grande struttura come il Ponte, sarebbe al sicuro per un periodo che va ben oltre quello tipico di “vita” di una grande infrastruttura.

Stimolati da questi importanti risultati, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal Dipartimento della Protezione Civile tra il 2007 e il 2009, è stato creato un piccolo gruppo di ricerca che ha voluto ripercorrere questo cammino, ripartendo dai famosi dati originali di Loperfido. E così, rovistando nella bibliografia del periodo in cui avvenne il tremendo terremoto, abbiamo trovato una pubblicazione scritta da uno dei padri della Società Geologica Italiana, ovvero Carlo De Stefani, autore della prima carta geologica della Calabria e docente di Geologia a Firenze. In questa pubblicazione il De Stefani svolge una accurata revisione dell’intera rete misurata da Loperfido e avverte di non utilizzare quei dati per qualsivoglia considerazione di tipo geologico, perché la maggior parte dei caposaldi insistono su terreni franosi o erano stati installati lungo i percorsi ferroviari, su ponti o su edifici danneggiati dal terremoto. La ragione di questo “caveat” è evidente. Infatti, affinché i dati geodetici (di qualunque tipo) siano utilizzabili per ottenere informazioni sulla faglia origine è condizione necessaria che i caposaldi su cui vengono effettuate le misure, siano saldamente ancorati al terreno, altrimenti quello che viene misurato non è l’effetto del movimento della faglia ma il risultato dello scuotimento locale, inutile per qualunque considerazione geologica e geofisica. Il De Stefani fece questo lavoro proprio nell’immediato post-terremoto, quando erano ancora perfettamente visibili gli effetti dello stesso sui manufatti e sui terreni.

La domanda che molti di voi si staranno ponendo probabilmente sarà: e tutto questo cosa c’entra col Ponte? La risposta è facile. Nonostante per la progettazione sia stata svolta una analisi approfondita della situazione geodinamica dell’area dello Stretto, in linea con le conoscenze del momento, a nostro avviso le nuove conoscenze (pubblicate in diversi articoli su riviste scientifiche internazionali dal nostro e di altri gruppi) ci dicono che qualunque progetto di grande infrastruttura basato su quella ipotesi di faglia è inevitabilmente esposto alla possibilità che quella faglia non esista!

In uno degli articoli scritti dal nostro gruppo, abbiamo anche voluto dimostrare che analoghi approcci matematici sono in grado di fornire indicazioni altrettanto valide scientificamente su altre faglie, in particolare su una faglia (che esiste ed è ben visibile anche sul terreno) che attraversa l’abitato di Armo, vicino Reggio Calabria. Ovvero da tutt’altra parte. La nostra era in parte una provocazione per dimostrare, alla fine che i dati del povero Loperfido, assolutamente incolpevole, non erano una base solida su cui poggiare ipotesi relativamente alla posizione ed alla estensione della faglia origine del terremoto. E che, alla luce di più recenti dati di geologia marina, di geologia strutturale e di geofisica, esiste una elevata probabilità che la faglia origine del terremoto del 1908 si trovi in realtà lungo la sponda calabra dello Stretto, e non su quella siciliana! O addirittura lungo lo Stretto stesso ma con diversa ubicazione. Se a questo aggiungiamo che la pretesa che tutti gli sforzi tettonici che agiscono in quest’area siano concentrati solo in una sola faglia è altrettanto debole, risulta evidente che, lungi dal volere esprimere pareri sulla importanza, sulla necessità e sulla fattibilità del Ponte, è necessario ancora chiarire meglio tre questioni centrali:

1 Dov’è la faglia che ha dato origine al terremoto del 1908?

2 Quali altre faglie potrebbero generare terremoti altrettanto forti o anche meno energetici (comunque in grado di danneggiare il Ponte)?

3 Come viene distribuito, nella complessa ragnatela di faglie attive presenti in quella zona, il campo di sforzi legato ai fenomeni geologici che agiscono ad una scala più ampia (interazione tra placca Europea ed Africana)?

A nostro avviso, se questo quadro non viene chiarito attraverso nuove ricerche, l’enorme sforzo economico per realizzare il Ponte potrebbe essere vanificato dai danni cui l’infrastruttura sarebbe soggetta in tempi purtroppo più brevi dei preventivati 1000 anni del terremoto di progetto.

 

Dr. Mario Mattia

Primo Tecnologo INGV Osservatorio Etneo

Prof. Carmelo Monaco

Ordinario di Geologia Strutturale – Università di Catania

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