Fine anno scolastico: si può ancora sperare. Da qualche parte in questa città ci sono ancora insegnanti che studiano e cercano di avvicinarsi ai bambini. Non pretendono il contrario. In questo sfascio totale in cui l’arte e il corpo sono dentro la scuola pesanti oggetti da evitare accuratamente, c’è ancora chi crede nell’impossibile: la libertà !
Ecco allora scolaresche che si avvicendano chiassosamente dentro le chiese, che si inerpicano lungo le scale strette della città, che godono del sole che si posa prepotente sui cappellini colorati.
C’è ancora qualcuno che nelle chiese parla il linguaggio dei bambini, quello della meraviglia, dei simboli nascosti, delle cose belle che non ci sono più, delle cose tristi che fanno dispiacere, in ogni tempo. Cose tristi come l’ odio verso le differenze e come i profitti personali sulla pelle dei poveri.
E nella storia della nostra città, la storia del mondo, in cui le dominazioni si avvicendano spaventosamente violente e intolleranti verso tutto ciò che non corrisponde a un modello preciso. Il loro modello preciso ! Nelle classi chiuse, piccole per troppi studenti in cui ci sono anche i disabili infilati a pressione; nelle ore piccole, troppo piccole per leggere le cose più belle per l’infanzia; nelle menti strette, troppo strette di dirigenti scolastici prima e insegnanti dopo il corpo dei bambini deve stare muto e fermo, libero si…di annoiarsi e perdersi dentro linguaggi e materie che non sono le loro.
E il cellulare sotto il banco ammicca a una relazione inesistente, a una realtà che non c’è, a un sogno ad occhi aperti di libertà di consumare all’infinito per colmare il vuoto di ciò che manca. Eppure da qualche parte in questa città ci sono ancora insegnanti che trascinano i loro allievi dentro la realtà e dentro il mondo, senza spaventarli, senza metterli in fuga dal loro desiderio di crescere. Sono questi gli insegnanti stretti tra le morse della burocrazia scolastica, che insegnano come sperare, unirsi e crescere. Sono questi gli insegnanti che non rimproverano i bambini che si alzano e che non riescono a stare seduti, che non li mortificano se le operazioni di matematica non sono fatte in tempo reale o se non c’è l’accento sulla e.
I bambini hanno bisogno di insegnanti che non li minacciano con i voti e la bocciatura, hanno bisogno di genitori che li incoraggiano a ad apprendere per il piacere di apprendere e non per il voto che riceveranno. E non ci servono madri che preparano il regalo ai figli che hanno buoni voti in pagella, che trattano bene i loro figli se essi li ricompenseranno facendo i “ bravi “, che li mortificano quando non rispettano le loro aspettative.
Abbiamo bisogno di madri che quando crescono sanno che i loro figli valgono molto di più di un voto in pagella, che non si alleano con quella parte dell’insegnamento ottuso e infruttuoso , ma che al contrario portino nella scuola la coscienza che i bambini e i giovani hanno bisogno molto di più che semplici nozioni. E allora quando le madri crescono la pagella la metteranno tra i conti di casa, perché un giorno chiederanno il conto allo Stato del benessere economico e sociale in cui i loro figli vivranno.